Siete in vacanza? Avete tappezzato la vostra pagina Fb di foto con posti incantevoli e cene prelibate su spiagge coralline al chiaro di luna? Le pagine Fb dei vostri amici sono egualmente felici? Non vi sono dubbi, credo, che il luogo d’elezione delle ostentazioni e delle illusioni felici della nostra era siano Facebook e Instagram. E, se per caso non vi sentite all’altezza, ci sono applicazioni pronte a cambiarvi la vita e a rendervi cittadini, anzi, consumatori digitali felici, perfettamente omologati alla massa.
Nata nel 2011 dall’idea del suo cofondatore e presidente Ofer Leidner, Happify, l’app che nella versione inglese conta più di tre milioni di utenti (www.happify.com), è il prodotto di quell’industria e quella scienza della felicità dalle quali Edgar Cabanas e Eva Illouz ci mettono in guardia nel loro saggio «Happycracy. Come la scienza della felicità controlla le nostre vite» (ne abbiamo parlato nello scorso numero). Ofer Leidner crede nella psicologia positiva e nella scienza della felicità e ha deciso di creare una piattaforma che possa tradurre in esempi e vantaggi concreti gli studi scientifici fatti sul campo. Ammette con candore che nessuna app può rendere felici ma gli insegnamenti, i percorsi e le esperienze veicolate su Happify unite alle caratteristiche dell’ambiente digitale, contribuiscono a rendere le persone più felici, ad elevare il loro livello di felicità.Prima di abbandonarvi a facili entusiasmi dovete sapere che Happify si può testare gratuitamente ma per usufruire di tutte le competenze e i vantaggi si paga. Si possono sottoscrivere diversi tipi di abbonamento uno anche a vita (alla fine moriremo felici?) per 337 dollari al mese.
La piattaforma mira a coinvolgere gli utenti nella comunità dei felici. Con alcune domande preliminari del tipo «nel mese scorso quante volte ti sei sentito arrabbiato, ansioso o preoccupato?» si stabilisce il grado di felicità dei nuovi arrivati. Vengono poi proposti contenuti di diverso tipo, in particolare viene utilizzata la formula del gaming e la dinamica del superamento delle prove. Io ho seguito i consigli di Derrick Carpenter, coach della scuola di psicologia positiva che ti esorta a conquistare i pensieri negativi. Mi sono state proposte una serie di attività per elevare le mie abilità ad essere felice. Ho provato la prima, uplift, che consiste nel mostrarti una serie di mongolfiere colorate in volo, ognuna con una parola impressa tipo «amore», «fortuna», «pace», «serenità», «successo». Non si muovono neanche tanto lentamente e devi clicccare quelle con le parole che ti ispirano. Sono arrivata a 430 punti e avrei potuto accedere al livello successivo ma non sono una fan del gaming. Anzi, a dire il vero mi è venuta l’ansia.Quello che posso dirvi è che Happify non è l’unica app nel suo genere ad aiutarci nella rincorsa alla felicità, ci sono altre app gemelle tutte rintracciabili sotto l’etichetta salute e fitness, benessere, auto aiuto, autosviluppo o, semplicemente, felicità.
Come Cabanas e Illouz raccontano nel loro saggio tutte «proclamano orgogliosamente di fornire soluzioni efficaci e testate per migliorare la salute emotiva e il benessere personale» chiamando in causa la scienza per avvalorare il programma. Su Happify c’è un’intera sezione dedicata agli esperti e si dice che i percorsi offerti siano stati creati «da chi si dedica con passione a migliorare la vita del prossimo».
In realtà quello della salute digitale è un business da oltre duecento milioni di dollari, tanti sono i finanziamenti che qualche anno fa hanno raccolto le aziende attive in questo settore, nove milioni di dollari soltanto Happify nel 2017. Senza contare che nel tempo l’azienda di Leidner ha esteso le sue partnership a importanti attori del mondo delle scienze e della ricerca con i quali condivide i dati dei suoi utenti.Un abbonamento a Happify costa meno di un anno di sedute dallo psicologo. E i giochi che la piattaforma propone per qualcuno saranno pure divertenti. Ma come si fa a trovare la felicità cliccando su una mongolfiera che vola? Sono convinta che andare a fare un’ora di volontariato tutti i giorni possa insegnarci molto di più. L’incontro umano, la cultura del fare e non quella dei click o del consumo, ci salveranno. E prima ci svegliamo meglio è per tutti o diventeremo una massa di consumatori digitali omologati e rammolliti senza spirito critico e d’iniziativa pronti a consegnarci nelle mani degli Ofer Leidner di turno. Altro che felicità.