Come cambia la morale

/ 10.06.2019
di Franco Zambelloni

Recentemente è uscito un libro in cui il ticinese Sergio Devecchi racconta la sua «infanzia rubata»: nato da una donna non sposata, proprio per questo è stato tolto alla madre pochi giorni dopo la nascita e affidato ad un istituto.

Questa esperienza è stata comune a migliaia di bambini, non solo in Svizzera, ma in molti altri Paesi: uno dei più famosi filosofi francesi d’oggi, Michel Onfray, quando aveva dieci anni fu affidato ad un orfanotrofio gestito da salesiani. Così volle sua madre, che a sua volta, subito dopo la nascita, era stata depositata in una cassetta davanti alla porta di una chiesa. In quell’orfanotrofio – o, per usare le parole di Onfray, «in quel nido di preti pedofili» – il giovane Michel conobbe le angherie, le percosse, gli abusi sessuali e le umiliazioni inflitte dagli «educatori». E come lui i tanti, tantissimi altri che – anche se non orfani, ma per volere dei genitori o delle autorità – venivano internati in simili istituti.

In Svizzera decine di migliaia di analoghi collocamenti extrafamiliari sono avvenuti, per decisione amministrativa o per volontà del genitore, fino al 1981: figli illegittimi, o semplicemente abbandonati da una famiglia che non poteva farsene carico, venivano internati in istituti religiosi o consegnati come manodopera presso artigiani o aziende agricole. Poi, la pratica è divenuta illegale: nel 2013 il Consiglio federale ha chiesto scusa alle vittime di simili misure coercitive e ora si sta procedendo a una sorta di risarcimento sotto forma di un contributo di solidarietà.

Sembra incredibile: sono passati meno di quarant’anni, e quello che un tempo era legale e costituiva una pratica diffusa e accettata, oggi non solo è illecito, ma ci appare assurdo e disumano. Decisamente, la nostra morale non è più quella dei nostri nonni: sono bastati pochi decenni per rovesciare princípi etici, criteri morali, norme giuridiche in vigore per secoli e secoli. Non sto parlando solo dell’abbandono o dell’affidamento di bambini a istituti e conventi; mi riferisco a tutte quelle convinzioni sulle quali si fondavano, in un passato recente, le strutture sociali e le norme di convivenza civile. Si prenda il caso del rapporto uomo-donna, marito-moglie: era ovvio, un tempo, che l’uomo dovesse comandare alla donna e la donna essergli sottomessa. Lo dice la Bibbia, e Aristotele ne ha dato una giustificazione filosofica; Machiavelli, nel Principe, invita a ricordare sempre che «la fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla». Ora, è vero che i casi di violenza domestica, ancora oggi, sono abbastanza frequenti: ma sono però rigorosamente condannati in base alla nostra morale e giustamente puniti dalla nostra legge. La violenza, in qualsiasi forma, è rifiutata: basti pensare alle punizioni corporali con le quali era ovvio educare un bambino che si comportava male. Nella Bibbia si legge (Proverbi, 23:13-14): «Non risparmiare al giovane la correzione, / anche se tu lo batti con la verga, non morirà; anzi, se lo batti con la verga, / lo salverai dagli inferi». Nei quadri del pittore svizzero Albert Anker, dove si vedono aule scolastiche di fine Ottocento, il maestro impugna sempre una bacchetta, lo strumento disciplinare per educare correttamente l’allievo. Ma oggi, se un maestro osa anche soltanto alzare una mano in segno di minaccia, rischia una denuncia penale.

Insomma, tutto è cambiato. In un libro uscito pochi anni fa, il divulgatore scientifico inglese Michael Hanlon osservava che oggi non diffidiamo più di persone con la pelle di un altro colore, né deridiamo e chiamiamo «nanerottoli» quelle di bassa statura, o «ciccioni» quelle sovrappeso; e non disprezziamo o discriminiamo l’omosessualità o altre forme di comportamento che un tempo venivano biasimate o condannate. La nuova morale che si è affermata nel corso degli ultimi decenni riconosce uguale dignità a qualsiasi essere umano, quale che sia il suo sesso, la sua età, la sua origine etnica, la sua condizione fisica e mentale: il fondamento della nostra morale è, oggi, che ad ogni persona si deve uguale rispetto. È un progresso straordinario (giudicando, beninteso, secondo la mentalità attuale: perché i nostri antenati, forse, non l’avrebbero affatto considerato un progresso). Ma, soprattutto, è straordinario se consideriamo che è avvenuto in non molti anni, ribaltando credenze e usanze durate secoli.

E però, proprio per questo, sorge naturale una domanda: «Quale sarà la morale futura, tra qualche decennio?».