Cocktail di veleni e vergogne

/ 11.03.2019
di Ovidio Biffi

Avrete letto o sentito cronache e commenti (magari quello di Paola Peduzzi su questo giornale) riguardanti la tristissima ondata di antisemitismo riversatasi sulla Francia, una sorta di cancro che l’intero Occidente si porta dietro dall’antichità e che ogni tanto «regala» metastasi un po’ ovunque. Anche se non esistono cifre sulla reale consistenza e sulla reale pericolosità di questi gruppi antisemiti, a chiarire meglio quanto sta succedendo (e purtroppo da diversi anni) in Europa, basterebbe questo dato: lo scorso anno almeno 2700 persone di religione ebraica hanno scelto di abbandonare la Francia. Quindi oltre 220 ebrei al mese, in maggioranza verso Israele, fuggono percorrendo la rotta inversa rispetto a chi, da Medio Oriente e Africa, arriva profugo in Europa sui famigerati barconi. Causa principale del moderno esodo? La paura per le violenze dell’antisemitismo; non solo perché sovente rimangono impunite e i colpevoli la fanno franca, ma anche perché sono aumentate del 75% nel corso degli ultimi 24 mesi. 

Era inevitabile che l’avversione e l’odio contro gli ebrei si manifestassero anche fra i «gilets jaunes», il movimento che da mesi imperterrito manifesta rabbia contro le élite politiche, convogliando il livore di tante frange della popolazione e sfruttando tolleranza, ignavia e anche una complessa componente di paura delle autorità francesi. Un gruppo di questi manifestanti che aveva incrociato per le strade parigine il filosofo Alain Finkielkraut lo ha fatto oggetto di epiteti spinti sino alle minacce di morte, da «Buttati nel canale, Finkie» al populistico e patriottico «Siamo noi il popolo (...) La Francia è nostra», il tutto praticamente diffuso in diretta dai social media. Finkielkraut dopo l’attacco diretto contro la sua persona ha confessato di aver avuto paura, ma oltre a ringraziare la polizia per la protezione, non ha aggiunto parole di condanna. Ricordo però che un anno fa aveva già espresso queste preoccupazioni all’inviato del quotidiano «Times of Israel»: «Se gli ebrei, in Francia, hanno avuto a lungo un rapporto teso, a volte doloroso, con il loro paese nel corso dei secoli, oggi affrontano una realtà nuova, particolarmente funesta. Sono estremamente preoccupato, sia per gli ebrei francesi sia per il futuro della Francia, perché l’antisemitismo che stiamo vivendo ora in Francia è il peggiore che abbia mai visto in vita mia, e sono convinto che sia destinato a peggiorare».

Dopo che il primo episodio, forse per salvaguardare la natura popolare dell’insurrezione dei «gilets», è stato relativizzato lasciando intuire una componente di antisemitismo islamico radicale, ecco che anche l’antisemitismo di estrema destra compie un passo in avanti: la frangia neonazista dei «Lupi neri alsaziani» che rivendica separatismo da Parigi, si è illustrata imbrattando molte tombe di un cimitero ebraico a Quantzenheim. Tra i due avvenimenti uno strano legame: l’unico «gilet giallo» fermato dalla polizia parigina, quello che ha inveito con maggior violenza contro Finkielkraut, un commerciante convertito all’islam, risiede in Alsazia, a Mulhouse. Collegamento solo casuale?

A dare maggior peso all’interrogativo ha contribuito anche il presidente Macron che, pur condannando l’«escalation» antisemita, ha praticamente ignorato i legami con l’irridentismo alsaziano anche dopo un terzo episodio che ha gravemente penalizzato un canale televisivo di stato e la libertà di stampa. Infatti, mentre stava trasmettendo l’arrivo di Emmanuel Macron al cimitero ebraico di Quantzenheim in diretta su Facebook – in «streaming», come ormai anche da noi riescono a fare i maggiori operatori mediatici – l’emittente France 3 Alsace è stata costretta a interrompere il servizio. A lato delle immagini, il suo sito stava infatti diffondendo incredibili commenti di odio e di antisemitismo, trasmessi in diretta con le immagini della visita presidenziale, prima che i dirigenti della rete televisiva si accorgessero e bloccassero i veleni degli odiatori seriali. Alle scuse, France 3 ha aggiunto questa motivazione: «Noi rifiutiamo di veicolare odio diffondendo commenti che sono il frutto marcio di una comunità di internauti (…) Questa forse non è la fine del mondo, ma è di sicuro un arretramento della democrazia». Hanno altresì spiegato che la decisione era stata presa dopo che i due giornalisti preposti al controllo dei commenti alla trasmissione inviati a Facebook erano stati sommersi da una valanga di «Heil Hitler» e di «Sporchi ebrei», accompagnati da esplicite minacce di morte e da commenti razzisti.

A scrivere la nuova ripugnante pagina contro gli ebrei francesi, accanto all’antisemitismo islamico radicale e a quello degli estremismi politici, troviamo così anche l’antisemitismo via social media. Certo, sopprimere una trasmissione televisiva «non è la fine del mondo». Tuttavia l’episodio, incomprensibilmente relativizzato dal «mainstream» mediatico, fa planare inquietanti interrogativi sull’uso dei nuovi media e ricorda alle autorità che dovrebbero cercare e risanare le fonti dei veleni, piuttosto che occuparsi sempre e solo di tariffe o di infrastrutture delle nuove tecnologie.