Clima, obiettivi irraggiungibili

/ 16.08.2021
di Peter Schiesser

Più si affinano i modelli, più diventano chiare l’ampiezza e le conseguenze dei cambiamenti climatici provocati dalle attività umane. Il sesto rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (il quinto risale al 2013) pubblicato il 9 agosto, frutto dell’elaborazione di dati e studi da parte di 230 scienziati di 66 Paesi, conferma e precisa le previsioni precedenti e lascia poco spazio a dubbi. In particolare rende quasi impossibile il raggiungimento dell’obiettivo stabilito sei anni fa alla Conferenza di Parigi di limitare a 1,5 gradi l’aumento della temperatura media globale rispetto all’era pre-industriale. L’umanità potrebbe infatti immettere nell’atmosfera ancora al massimo 400 miliardi di tonnellate di CO2, e al ritmo attuale di 30 miliardi di tonnellate all’anno raggiungeremmo il limite già nel prossimo decennio. Persino l’obiettivo di un aumento della temperatura di 2 gradi, che permetterebbe un massimo di emissioni pari a 1150 miliardi di tonnellate di CO2, appare una sfida enorme. E già oggi vediamo quali sconquassi sta creando nel mondo l’aumento di 1,1 gradi nell’ultimo decennio rispetto al cinquantennio fra il 1850 e il 1900. A chi ancora crede che il riscaldamento registrato fin qui sia frutto di fluttuazioni naturali, gli scienziati rispondono che dal 1970 la temperatura globale è salita più velocemente che in ogni altro intervallo di cinquant’anni degli ultimi 20 secoli.

Le conseguenze, secondo gli scienziati dell’Ipcc, sono un aumento degli eventi meteorologici estremi: le ondate di caldo sono più frequenti, se in passato avvenivano ogni 50 anni oggi si notano ogni dieci anni, con un aumento della temperatura di 2 gradi le avremmo ogni 3-4 anni; e mentre in alcune regioni del pianeta le precipitazioni massicce sono in aumento, in molte altre si ripetono più frequentemente periodi di siccità, provocando danni e vittime in una parte del mondo e grossi problemi all’agricoltura in altre, nonché un accresciuto pericolo di incendi massicci, come possiamo notare nell’ovest degli Stati uniti e del Canada, nonché in Grecia, Turchia, Italia. In particolare, secondo l’Ipcc, se globalmente la temperatura media aumentasse di 2 gradi, nelle aree mediterranee crescerebbe di 3 gradi. Non dimentichiamo poi che il clima più caldo sta sciogliendo i ghiacci dell’emisfero settentrionale, ciò che porta da tempo ad un innalzamento del livello dei mari. Fra il 1901 e il 2018 si calcola che è cresciuto di 20 centimetri, e fra il 2006 e il 2018 di 3,7 millimetri all’anno. Le simulazioni che si basano sui modelli climatici indicano che alla fine del secolo il livello dei mari potrebbero salire di 28 fino a 101 centimetri; tuttavia, sottolinea una parte degli scienziati, un ulteriore aumento della temperatura potrebbe innescare processi oggi imprevedibili, tali da sciogliere anche i ghiacci dell’Antartide, ciò che spingerebbe l’innalzamento fino a due metri.

Sono scenari catastrofici (ma non è già catastrofica la realtà di questa estate?), la necessità di ridurre al minimo le emissioni di CO2 è quindi urgente. Il ritmo della politica però resta incerto, le resistenze di Paesi come la Cina e l’India sono forti, e anche in Europa, benché ci sia l’obiettivo conclamato di un’economia a neutralità climatica entro la metà del secolo, ci si muove con lentezza. I processi tecnologici verso un’economia e una società più verde ci sono, ma non sono sufficienti per indurre una svolta rapida e decisiva. Inoltre, rammentano gli scienziati, anche se si riuscisse a ridurre bruscamente le emissioni di CO2 quelle già presenti continueranno a influire sul clima per molti decenni. Ne pagheranno le conseguenze anche i nipoti di Greta Thunberg. Non nascondiamocelo.