Città in cerca d’immagine

/ 13.02.2017
di Luciana Caglio

La vocazione turistica funziona, e come, con effetti concreti proprio in Svizzera. Il nostro Paese fu, tra i primi, a fare dell’ospitalità un’industria, fiutando gli umori dell’epoca: gli inglesi che, nella seconda metà dell’800, si erano innamorati delle Alpi e i tedeschi dei laghi a sud del Gottardo. E fu così che, per accoglierli, località, prima di allora anonime, villaggi, borgate e piccoli centri provinciali, diventarono mete di richiamo internazionale, con un’alta qualificazione dal profilo mondano e persino culturale. Stiamo parlando di San Moritz, Gstaad, Zermatt, Interlaken, Lucerna, e, naturalmente, di Locarno, Lugano, Ascona, tanto per citare esempi ormai simbolici in questa scalata al successo, in termini di affari ma, soprattutto, di notorietà. Un attributo, quest’ultimo, più che mai, ambìto, nell’era del far parlare di sé, sul piano individuale e collettivo: una sorta di lasciapassare. Per ottenerlo serve un’immagine. E, per i luoghi, qui entra in gioco l’etichetta «località turistica», sinonimo di potere d’attrazione, di piacevolezza, di qualità di vita. Se non c’è, bisogna inventarsela.

In verità, anche in una Svizzera, privilegiata da bellezze naturali a iosa e da monumenti storici ben conservati, ci sono, per forza di cose, località destinate a un anonimato, per altro decoroso e vivibile: al quale, però, adesso ci si vuol ribellare. È il caso di Olten che, recentemente, ha fatto notizia; appunto perché sembra decisa a uscire da un oblio forse immeritato. Confessiamolo: per noi ticinesi, come probabilmente per la maggioranza degli svizzeri, il nome di Olten coincide con quello di una stazione, nodo ferroviario importante, a metà strada fra Berna e Zurigo, dove transitano, ogni giorno, 80’000 persone: viaggiatori frettolosi che cambiano treno, e basta. Neppure un’occhiata, fuori dal recinto delle FFS, come se la città, sulle rive dell’Aar, ai piedi del Giura, non esistesse, con una propria fisionomia degna di attenzione. Sta di fatto che, a Olten, la voglia di riscattarsi è motivata. Negli ultimi decenni, la città ha registrato un’incessante perdita di abitanti. Tanto che, per frenare l’esodo, le autorità hanno lanciato un’insolita operazione: abitare in prova. Consiste nella possibilità di usufruire di soggiorni gratuiti, o a prezzi di favore, in appartamenti e alberghi e, in pari tempo, di abbonamenti per i mezzi di trasporto e di ingressi a spettacoli, impianti sportivi, musei. Ora la proposta, rivolta in particolare ai pendolari, provenienti da Zurigo e da Berna, non ha ottenuto l’esito sperato: gli ospiti, in prova, non sono poi diventati abitanti in pianta stabile.

Secondo i commenti, letti sui giornali d’oltre Gottardo, è una tipica «questione d’immagine». Dopo la chiusura del Letten, la famigerata scena zurighese della droga, dalle rive della Limmat si era trasferita su quelle dell’Aar. Con prevedibili conseguenze. Ma, al di là di quest’episodio, si rimprovera, ai politici, l’incapacità di valorizzare, con la necessaria efficacia, le risorse locali, sul piano culturale e politico, in particolare. Olten ha, infatti, alle spalle un passato importante: qui, nel 1912, fu fondata la prima Società degli scrittori elvetici. E, qui, nel 1970, nacque il «Gruppo di Olten», che riunì intellettuali dissidenti, fra cui Adolf Muschg e Giovanni Orelli. Personaggi che animarono una stagione artistica che ha lasciato tracce da riscoprire.

Si deve, non da ultimo, tener conto di un altro fattore: qual è la simpatia che circonda, e non solo in Svizzera, le città di piccole dimensioni, dove la quotidianità ha ritmi più rilassati, favorisce gli incontri e riporta alla luce le radici identitarie. Ed è quel che avviene a Bellinzona che, al pari di Olten, ha legato il suo nome alle ferrovie. E, adesso, con Alptransit sta rinnovando l’immagine, puntando su obiettivi forse un po’ illusori. Lavorare a Zurigo ma abitare a Bellinzona? Ogni cambiamento apre incognite. E rifare la propria immagine comporta rischi. Comunque da correre.