Achtung! Achtung! Ci risiamo: i media, web in testa, sono nuovamente invasi dai Selachimorphi, vulgo Squali. Spuntano dappertutto. Sono per ogni dove. In cielo, in terra e in ogni luogo. Dappertutto fuorché dove dovrebbero starsene per la comodità di tutti, compresi loro stessi.
L’ultimo a stanarli dal profondo degli abissi dove son sempre in agguato è stato il Coronavirus (e chi altri potrebbe essere il protagonista del serial dell’orrore che ci accompagna fra pipistrelli e pangolini ormai da mesi?). Occorre spiegarsi: non c’è stato nemmeno il tempo di digerire la notizia garantita dell’OMS secondo la quale i morti per CV19 hanno superato il milione che le è sbucata alle spalle, a tradimento – come una sorta di contrappasso – la news che occorrerebbero cinquecentomila squali per produrre abbastanza vaccino per salvare l’umanità dal morbo. Covid contro gli Squali in una sfida mortale che ha per palio l’intera umanità? Wow, che brivido, che frisson!
Succede infatti che uno degli ingredienti necessari a produrre almeno certi tipi di vaccino sia un certo olio prodotto dal fegato degli squali che altro non può chiamarsi se non squalene. Un colosso farmaceutico britannico già lo utilizza per produrre vaccino influenzale, al ritmo di tremila squali per tonnellata di squalene (senza che peraltro si diano indicazioni sulle taglie dei chiamiamoli donatori che – come sappiamo – vanno dalle poche decine di centimetri del Gattuccio ai metri fitti dello squalo balena – ma tant’è).
Sulla base di questi dati l’associazione ambientalista Alleati degli Squali (ha sede in California, dove altro?) ha calcolato che se ogni abitante del pianeta dovesse ricevere una dose di vaccino gli squali necessari sarebbero 250’000. Se poi, come sembra plausibile, la dose dovesse essere ripetuta, il contributo selachimorfico salirebbe a cinquecentomila. Questo calcolo «ammazza uno per salvarne due» non tiene peraltro conto del fatto che una versione di sintesi dello squalene possa essere ricavata dalla canna da zucchero fermentata, così come postillano a piccoli caratteri e danno fatto gli articoli sulla strage corredati da foto terroristiche di carcasse di squali decapitati allineati a mò di sardine pronte ad essere inscatolate.
Ma la sete di notizie squalificanti non si accontenta certo di questo. I media, si sa, sono voraci e hanno bisogno di carne fresca. Non appena pubblicata la notizia di cui sopra è seguita a rimorchio la notizia secondo la quale Malta ha scomodato il ministro della Cultura per chiedere al governo britannico la restituzione di un dente di squalo fossile che Sir David Attenborough, l’ormai mitico, inossidabile naturalista, ha regalato al principino George. Il dente sarebbe patrimonio storico nazionale e come tale heritage del popolo isolano. Poco importa che denti di Megalodonte (che peraltro, e ben gli sta, si estinse perché predato dagli altri squali – anche questa gira sul web) si possono acquistare a chilate e senza sbancarsi sulla stessa medesima rete.
Insomma, basta una nuotatina nel web, attenti a non farsi sorprendere, per imbattersi in titoli del tipo: «Squalo attacca il marito in acqua (e dove altro poteva attaccarlo? Mentre si lavava i denti!?). Donna incinta si tuffa e gli salva la vita (al marito, s’intende)» (Florida). «Catturata femmina di squalo bianco incinta di 14 cuccioli» (Taiwan). L’articolo prosegue con l’ennesima tirata contro i cinesi mangiasquali. «Ci sono squali bianchi nel Mediterraneo?». Domanda sempre attuale anche se ogni tre per quattro si segnalano avvistamenti del bestione del tipo «Avvistato squalo bianco vicino ad una barca ad otto miglia da Lampedusa». La notizia fa un figurone fra le no news del tipo «cane morde uomo». Notizia sarebbe se fosse stato avvistato nell’acquasantiera della chiesa parrocchiale o – vivaddio – a otto miglia dalla barca, evviva la vista del Nostromo. E avanti di questo passo fino allo sfinimento. L’ultimo, grandioso frutto di una furia mediatica alla canna del gas, l’offerta a portata di clic: «Incontra da vicino un grande squalo bianco in 3D a grandezza naturale». Attendiamo di vedere se scatenerà la corsa all’acquisto di schermi PC formato cinemascope.
«Tanta voglia di paura»: così il Vostro Altropologo di riferimento molte puntate fa a proposito dell’infantilizzazione della cultura pop, globale e di massa, ormai connessa alla realtà realmente reale solo per mezzo delle protesi mediatiche. A quelle righe faccio ora riferimento, divertito e sconfortato. Altro era la «credulità» innocente e creativa della cultura popolare d’antan. Questa qui, la cultura pop intendo, è irrimediabilmente squalificata.