Cinque chilometri romani

/ 21.11.2022
di Claudio Visentin

Qualche giorno fa sono andato a Roma per partecipare a un seminario sul turismo organizzato dall’Istituto svizzero. La sede romana (le altre sono a Milano e Palermo) è in una villa in stile eclettico costruita nel 1905 da Emilio Maraini. Scopro subito che dal Ticino non ci si libera mai; se anche vai altrove, ti segue. Infatti Emilio Maraini, nato a Lugano nel 1853, è lo stesso al quale è intitolata l’omonima piazzetta all’incrocio tra via Nassa e via Pessina. Mi distraggo subito dai massimi sistemi turistici seguendo il filo di una vita fuori dal comune (letteralmente).

A vent’anni Maraini accumula le prime ricchezze grazie al commercio di canna da zucchero intuendo presto che il futuro sarebbe stato nella barbabietola e nel mercato italiano. Collega agricoltura e industria tra Rieti e Roma, capitalizza immense ricchezze, prende la doppia cittadinanza, viene eletto deputato, si fa costruire una splendida dimora romana sul Pincio. Lui muore nel 1916, la moglie Carolina Sommaruga, anch’essa luganese, nel 1946, lasciando alla Confederazione il loro palazzo, da allora sede dell’Istituto svizzero di Roma.

Per tre giorni villa Maraini sarà la mia casa. Nel seminario si discute in profondità e con ospiti scelti del futuro del turismo dopo la pandemia, specie nei centri urbani, dove i turisti richiamati da Airbnb si sostituiscono ai residenti. Ma presto da studioso del turismo divento turista io stesso. Villa Maraini, già in posizione elevata, è sovrastata da un’alta torre. Dopo una faticosa salita per un’impervia scala a chiocciola mi si schiude davanti una vista sorprendente sulla città eterna. Riconosco tutti i luoghi più famosi: ecco il Vittoriano, san Pietro e la città del Vaticano, la Colonna traiana… Ma a Roma non serve allargare lo sguardo, al contrario. Quasi a ogni passo, a saper guardare, s’incontra la quotidiana meraviglia. Una breve passeggiata la domenica mattina mi schiude un mondo. Nella chiesa di Trinità dei Monti, in cima alla scenografica scalinata che sale da Piazza di Spagna, la comunità francese celebra un’impeccabile messa con tanto di accompagnamento d’organo e direttori dei canti. Quando «la messe est finie, allez en paix», proseguo verso la vicina Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia (un’altra importante istituzione culturale). Poco prima dell’ingresso principale, dove i turisti attendono per la visita guidata, un’anonima porticina di metallo nasconde una vertiginosa scala a chiocciola cinquecentesca in pietra che scende per 25 metri e 117 gradini, sino alle fredde acque dell’acquedotto Vergine, inaugurato da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, nel 19 a.C. (!).

Pedoni, ciclisti e pattinatori mi contendono la strada e si godono la mattina di sole. Entro nel parco del Pincio costeggiando prudentemente il muro esterno, anch’esso costruito in epoca romana su quello che allora si chiamava Colle degli Orti, dov’erano costruite le ville della gens capitolina. Il muro però spesso cedeva vistosamente, da qui il nome dell’ampia strada sottostante, la via del Muro Torto. Sporgendomi per guardare il traffico incessante scorgo delle strane reti metalliche. Qualcuno pensa servano a scoraggiare tentativi di suicidio, un tempo frequenti. Perché proprio qui? Quest’angolo di parco in età moderna ospitava il cimitero dei disperati: in fosse comuni, senza riti funebri, vi venivano seppelliti delinquenti, prostitute, attori, saltimbanchi, eretici, ebrei, ortodossi, protestanti eccetera. Ancora oggi i superstiziosi credono di avvertire strane presenze o vedono fantasmi.

Ma la tristezza subito si dilegua. Avanzo tra alberi secolari e innumerevoli busti di italiani illustri, guidato dalle note languide di un impeccabile jazzista di strada, con tanto di cappello per le offerte. Come un pifferaio magico, mi richiama verso il vicino parco di Villa Borghese. Prima però devo farmi largo tra una colorata e rumorosa fiera dei piccoli comuni del Lazio. Bellissime ciociare indossano costumi tradizionali, naturalmente si mangia e si beve parecchio, mentre le bande musicali fanno a gara nel richiamare l’attenzione, producendo un’allegra cacofonia.

Passando da Porta pinciana ritrovo rapidamente la via dell’Istituto svizzero. Quante scoperte in un percorso di neanche cinque chilometri! Ma c’è ancora tempo per una sorpresa. Sul marciapiede giace sparpagliato un mazzo di carte; poco distante trovo un fogliaccio con i punteggi delle numerose partite giocate nella notte da alcuni perditempo. Raccolgo un jolly in bella vista: è stato un giorno fortunato.