Cimitero di conseguenze invisibili

/ 24.02.2020
di Ovidio Biffi

Nassim N. Taleb ha scritto, credo nel suo Il cigno nero, questa preziosa asserzione: «I governi sono bravissimi a raccontare ciò che hanno fatto, ma non ciò che non hanno fatto. Si dedicano a una sorta di falsa “filantropia”, un’attività in cui si aiuta il prossimo in modo visibile e sensazionale senza prendere in considerazione il cimitero delle conseguenze invisibili». È un giudizio facilmente adattabile alla vicenda Crypto, su cui avrete probabilmente già letto il poco che si è saputo e, come me, ignorate il molto che tutti vorrebbero riuscire a sapere. Infatti dopo le rivelazioni dell’inchiesta giornalistica e in attesa di quella del governo federale, e probabilmente di una delle Camere, siamo veramente al cospetto di un «cimitero delle conseguenze invisibili»: quelle che per anni Stati Uniti e Germania hanno potuto architettare usando la neutrale Svizzera (arriveremo mai a dire: «Hey, caro presidente Trump, che cifra mettiamo sulla richiesta di indennizzo?»). Per questo a preoccuparci ora non è tanto quel che la Crypto e i suoi «angeli custodi» hanno illegalmente compiuto in altri paesi, ma piuttosto quel che le nostre autorità non hanno scoperto o non hanno mai rivelato. E che di conseguenza gli interrogativi dell’opinione pubblica, oltre che della classe politica, riguardino soprattutto i pericoli di una perdita di immagine e di credibilità della nostra neutralità (si pensi solo al delicato ruolo di mediazione fra Iran e Stati Uniti, decantato come esempio degli sforzi della diplomazia).

Merita rilievo, in merito a questa vicenda, quanto ha dichiarato l’ex magistrato e politico ticinese Dick Marty. Titolare in passato di numerosi incarichi a livello internazionale – fra i quali spicca l’indagine per conto del Consiglio d’Europa sulle prigioni segrete della CIA – in un’intervista pubblicata dal quotidiano ginevrino «Le Temps» Marti ha subito chiarito che le deduzioni da fare sono semplici: «O la Svizzera non sapeva nulla, o invece era al corrente, il che mi sembra molto più probabile. In ogni caso, questo è un grave scandalo». E ha rincarato la dose precisando che a suo avviso la vicenda reca «un grave danno alla credibilità e all’affidabilità della Svizzera. Noi crediamo volentieri di essere migliori degli altri. Vogliamo essere paladini della neutralità e dei buoni uffici, ma in realtà pratichiamo il doppio gioco. La neutralità è una sorta di narrativa nazionale di cui ci vantiamo, ma che non corrisponde alla realtà». Giudizi severi che relegano in secondo piano fattori o contingenze attenuanti, del resto esclusi anche dagli editorialisti dei maggiori giornali confederati. Inutile quindi cercare di aggiungere fronzoli personali o illazioni che non servirebbero a mutare quanto appurato dal pool di giornalisti, capeggiati dal «Washington Post» e dalla televisione pubblica tedesca ZDF, e quanto sta emergendo dal dibattito mediatico avviato in Svizzera. C’è però da segnalare un paradosso: la vicenda della Crypto stranamente non ha suscitato alcuna ripercussione nei paesi interessati e potenzialmente danneggiati dalle attività di spionaggio, forse per colpa dell’imbarazzo causato dalle rivelazioni mediatiche. Al contrario, da noi la sempre più decisa ministra della difesa Viola Amherd già dallo scorso novembre è all’opera sia per informare i colleghi di Consiglio federale, ma soprattutto per bloccare l’azienda zughese e ordinare un’inchiesta esterna all’ex giudice federale Niklaus Oberholzer.

Tempismo e decisionalità ineccepibili che attenuano in parte quanto scrive il «Washington Post», cioè che da decenni i «funzionari svizzeri» fossero a conoscenza del legame tra la Crypto e i servizi di spionaggio americani e tedeschi. Sono accuse che le inchieste dovranno appurare, ma che difficilmente potranno essere chiarite con certezza ed evitando speculazioni politiche. Lo suggeriscono sia il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti sino alla scoperta dei reati e le difficoltà (anche quelle personali, talvolta intime) a valutare vicende gravate dalle paure della guerra fredda e dalle minacce del terrorismo internazionale. Resta poi sempre possibile che i nostri ex-consiglieri federali o alti funzionari, poiché in buona sostanza erano vicende legate a operazioni di intelligence, veramente non si siano accorti di nulla oppure abbiamo preferito tacere o siano stati spinti a chiudere gli occhi dal timore che venissero a galla altre verità. Ma pur prospettando che alla fine a prevalere possa essere il peso dei dubbi, è giusto ora cercare riscontri e prove, se non altro per capire come mai (e potrebbe essere questa la colpa più grave dell’intera vicenda) la Crypto abbia potuto agire, vendere e vendersi sempre indisturbata. E qui ritroviamo la validità del brano di Taleb citato all’inizio: «I governi sono bravissimi a raccontare ciò che hanno fatto, ma non ciò che non hanno fatto». Forse non figurerà sulle copertine dei rapporti degli inquirenti, ma di sicuro aleggerà in tutte le pagine delle inchieste. E non è frase criptica.