Chiodo scaccia chiodo

/ 26.06.2023
di Bruno Gambarotta

«Il prossimo 22 novembre la nostra azienda compie cento anni. Vi rendete conto? Sono cento anni che la nostra Chiodo scaccia Chiodo fabbrica chiodi, milioni, miliardi di chiodi. Vogliamo fare qualcosa per festeggiare l’evento?».

La domanda del quarantenne Filippo, il più anziano dei tre nipoti, coglie di sorpresa nonna Gemma che a 94 anni quasi compiuti ritiene che non sia ancora giunto il momento di lasciare le redini dell’azienda a lui e agli altri due nipoti, Andrea (37 anni) e Roberto (34 anni). Quest’ultimo mal sopporta la regola che lo condanna a essere subalterno al fratello primogenito e da lui sospetta sempre tranelli: «Se ci hai convocati apposta significa che hai qualcosa in mente. Avanti, sputa il rospo!»

Filippo: «A suo tempo. Prima voglio sentire cosa ne pensate voi».

Nonna Gemma: «A me sembra una grande idea. Affittiamo la palazzina di caccia dei Savoia a Stupinigi e organizziamo un gran ballo con dame e cavalieri travestiti da chiodi e lo mandiamo in streaming sul nostro sito».

Roberto ostenta il suo scetticismo: «Non mi risulta che quando la Chiodo scaccia Chiodo compì 50 anni si siano fatte così tante feste.»

Nonna Gemma, piccata: «Tu non eri ancora nato e neanche i tuoi fratelli. Ma quel 22 novembre 1973, il giorno in cui la nostra ditta tagliava il traguardo dei 50 anni, il governo Rumor firmò il decreto che imponeva l’austerità, con il risparmio dell’energia, il blocco alla circolazione. La gente, non potendo prendere l’auto, per far trascorrere il tempo, piantava chiodi dal mattino alla sera».

Filippo riprende le fila: «Il chiodo è uno dei pochi oggetti rimasti inalterati nel tempo e che continua a essere richiesto.»

Andrea, che finora ha taciuto, è l’intellettuale della famiglia: «Organizziamo un bel convegno sul chiodo nella storia d’Italia, frequentabile anche da remoto. Sono sicuro che nelle nostre università troviamo, oltre che storici, anche docenti di sociologia del chiodo e autori di ricerche sul fantasma del chiodo in psicanalisi. Poi pubblichiamo gli atti del convegno e li mettiamo in rete».

Filippo stronca l’entusiasmo del secondogenito: «Già che ci siamo, perché non dedichiamo il convegno al tema del chiodo nella storia dell’umanità?».

Roberto rientra in gioco: «Lascia perdere internet. Ho io l’idea vincente. Lanciamo la collezione dei chiodi che hanno avuto un ruolo determinante nella vita dei personaggi famosi».

«Per esempio?» domanda Filippo.

«Che so, provo a inventare. Il chiodo dove s’impiglia il costume di Maria Callas quando sta per cantare Casta Diva, quello usato da Silvio Pellico per graffiare un appello sul muro della sua cella allo Spielberg, il chiodo portafortuna che Napoleone chiese di portare con sé nell’isola di Sant’Elena».

Filippo è tentato dalla proposta ma ha qualche obiezione: «Non è un’idea malvagia… I chiodi della collezione li produrremmo noi. Ma come farai a dimostrare che quello è proprio il chiodo portafortuna di Napoleone?»

«Credi forse che quando un tifoso compra la maglia di Ronaldo venduta in migliaia di esemplari si domandi se quella maglia in particolare sia stata veramente indossata?»

Andrea, l’intellettuale, entra in campo: «In effetti, nel capolavoro del Manzoni la parola chiodo compare ben cinque volte senza contare che c’è anche un personaggio che fa di cognome Chiodo, è il chirurgo che don Rodrigo manda a chiamare quando scopre di avere i primi sintomi della peste, ma il Griso invece del Chiodo fa arrivare i monatti che lo portano via prima che infetti gli altri».

Filippo è ormai convinto: «Se è così, si potrebbe quasi tentare… Ne parlerebbero tutti, magari ci chiamano in qualche talk show in televisione».

Per fortuna c’è nonna Gemma in grado di riportare i nipoti alla realtà: «Così facendo attiriamo l’attenzione della Guardia di Finanza e di qualcuno che ci vuole comprare dopo averci messi al tappeto con la complicità delle banche. I nostri operai pretenderebbero un aumento della paga. Meglio lasciar perdere. Anzi, se date retta a me, correggiamo il nostro anno di nascita, passiamo dal 1923 al 1933. A nessuno viene in mente di festeggiare un’azienda che compie novant’anni».