«Chiare, fresche e dolci acque»

/ 30.09.2019
di Franco Zambelloni

Molti ricordano, dagli anni di scuola, questo inizio della canzone del Petrarca. Da studenti eravamo forse attirati maggiormente dal verso successivo, dove le «belle membra» di Laura scendono nelle limpide acque della fonte di Vaucluse; ma oggi, con le notizie di disastri ambientali che circolano ininterrottamente nei media e vengono documentate in rapporti mondiali e in pubblicazioni sempre più numerose, l’acqua attrae forse un’attenzione anche maggiore. Non a caso l’acqua viene sempre più spesso chiamata «l’oro blu»: finché se ne ha in abbondanza e la si può sprecare il suo valore è nullo, come per l’aria che respiriamo senza neppure accorgercene; ma ora che minaccia di mancare, diventa preziosa – «oro blu», appunto.

Insomma, oro contro oro: perché è per la sete di oro, dei profitti indotti dalla produzione industriale, dallo sfruttamento sfrenato delle risorse naturali che emerge quest’altro «oro», la cui sete rischia di essere ben più grande e drammatica di quella di denaro. Ora che le ferie estive sono alla fine, molti rientrano dopo aver contemplato l’acqua dei mari o degli oceani, distese immense che solo la linea d’orizzonte delimita. L’acqua è, in effetti, la sostanza più diffusa, occupa i tre quarti della superficie terrestre; ma l’acqua salata dei mari va bene solo per nuotate e crociere, mentre solamente il 2,8 per cento dell’intera massa è acqua dolce; peggio ancora, solo lo 0,3 per cento è potabile, perché la gran parte dell’acqua bevibile è congelata nei ghiacciai e nelle calotte polari, o rinchiusa in falde sotterranee; e comunque il 70 per cento dell’acqua dolce viene utilizzato per l’irrigazione dei campi.

In più, sono da considerare i casi di inquinamento di falde idriche, che di tanto in tanto vengono denunciati anche in Europa. È vero che sui cambiamenti climatici in atto si levano voci discordi: c’è chi ne attribuisce la colpa alle attività umane e chi relativizza o nega. I primi mi sembrano molto più numerosi dei secondi, ma questo non garantisce che abbiano ragione: molte «verità», anche in campo scientifico, sono state smentite nel corso del tempo. C’è però un dato di fatto che non va sottovalutato e del quale non si può dubitare: indipendentemente da responsabilità e colpe, la situazione va peggiorando e le conseguenze che ne derivano sono drammatiche.

Già alcuni anni fa mi ero annotato una comunicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: informava che più di un miliardo e ottocento milioni di persone non potevano usufruire di acqua potabile e che nel mondo, sul finire del Novecento, circa diecimila persone morivano ogni giorno per mancanza d’acqua. La scarsità di acqua potabile potrebbe poi provocare guerre locali, com’è già accaduto più volte nel corso degli ultimi cinquant’anni. L’economia africana è fondamentalmente agricola ed è quindi gravemente colpita dalle frequenti siccità (anche se vi si alternano talvolta improvvise e tremende inondazioni, che non risolvono il problema ma producono gravi danni). Vi sono rapporti che rilevano che dal ’68 le precipitazioni sono costantemente diminuite in seguito al riscaldamento atmosferico: il deserto del Sahel si estende progressivamente e il fenomeno rischia drammaticamente di avanzare in vasta parte dell’Africa.

Occorre poi tener conto del fatto che l’Africa è il continente con la maggiore crescita demografica: nel 1950 la popolazione era di 230 milioni, ma già nel 1991 superava i 500 milioni; e oggi ha superato il miliardo. Pochi anni fa Giovanni Sartori osservava giustamente che se fossimo ancora un miliardo di persone (com’eravamo alla fine del Settecento) e se vivessimo in società pre-industriali, il problema ecologico non esisterebbe; ma «in un secolo ci siamo moltiplicati per sei, siamo diventati 6 miliardi e mezzo, e il nostro mondo è tutto prodotto e sostenuto da un’energia che dobbiamo ricavare depauperando la natura».

Studi recenti prevedono che nel 2050 la Terra sarà popolata da 9,3 miliardi di persone e che questo incremento sarà dovuto per il 55% ai Paesi in via di sviluppo. La sensibilità per il problema, è vero, aumenta costantemente: negli scorsi giorni abbiamo assistito a cortei di protesta e a sfilate di giovani in difesa della natura e del clima; forse qualcosa cambierà, si giungerà a nuovi accordi internazionali che magari saranno rispettati più di quanto è avvenuto con gli accordi precedenti, come quelli di Kyoto e di Durban. O forse continueremo a lavarcene le mani. Ma con che cosa, se saremo rimasti senz’acqua?