Chi non salta è un…

/ 13.03.2023
di Giancarlo Dionisio

…un contadino? …un bianconero? Se anche fosse, non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. Anzi, sarebbe un vanto. Senza il settore primario, mangeremmo solo cibi sintetici e la nostra salute pagherebbe dazio. Quanto al bianconero, è da sempre sinonimo di eleganza grintosa. Negli anni Sessanta, ad esempio, lo stilista francese André Courrèges ne fece il suo segno distintivo.

Chi non ha mai messo piede in uno stadio di hockey su ghiaccio, probabilmente farà fatica a capire il senso di questo incipit. Spieghiamo. Le due squadre ticinesi, che frequentano da decenni il massimo campionato nazionale di hockey su ghiaccio, sono sostenute da numerose rispettabilissime persone che siedono sulle tribune, acquistano tessere o biglietti d’accesso dal costo piuttosto elevato. Prediligono lo champagne delle Vip Lounge alla birra delle buvette. Affittano posti-auto privilegiati vicini alle entrate. Tutto ciò in aggiunta, magari, ad altri importi che devolvono alla causa dell’Hockey Club Lugano o dell’Hockey Club Ambrì Piotta. Anche lo sport, in quanto spaccato della società, può vantare il suo ceto medio. Lui pure comodamente seduto in tribuna, ma senza i privilegi e le coccole della precedente categoria. Da ultimo, ma non certo per importanza, ci sono le curve, il pueblo. La Nord a Lugano. La Sud ad Ambrì, anche se il trasloco nel nuovo impianto griffato Mario Botta ha dirottato il tifo più ruspante, quello della GBB, sul versante settentrionale della pista.

Lo slogan riassunto nel titolo è quanto di più poetico le due curve abbiano espresso in decenni di vibranti duelli a suon di sfottò e controsfottò. Al pari di quest’altro: «Il Ticino è biancoblù» che fa da contraltare a «Il Ticino è bianconero». Sono slanci che escludono. Vogliono ribadire: «L’hockey siamo noi, toglietevi di mezzo». Quante volte ho sentito dire dai tifosi che il loro godimento più sublime sarebbe vedere la squadra rivale scivolare in serie B o, se preferite, in Swiss League. Alcuni sostengono che il Lugano senza l’Ambrì non sarebbe il Lugano, e viceversa. Può darsi. Ma sono convinto che sotto sotto sarebbero più che felici di togliersi dai piedi i cugini rivali.

In questa tribolata stagione, l’ipotesi retrocessione (che in altre circostanze ha fatto sudare freddo i leventinesi) è stata scongiurata, per entrambe le ticinesi, a due partite dalla fine. Il Lugano, Club sulla carta con credenziali da play off, è stato a lungo sotto la linea dei pre play off. Uscire di scena al termine della Regular Season, o addirittura affrontare lo spareggio salvezza contro l’Ajoie dell’ex guerriero Julien Vauclair, avrebbe costituito un rischio enorme. L’Ambrì è abituato a correre scalzo nella savana, tra animali feroci, acque limacciose, serpenti velenosi, quindi nel momento del bisogno, si sa adattare all’ambiente e ne sa uscire indenne. Il Lugano invece, tradizionalmente, viaggia su strade, sì trafficate, ma molto meno insidiose. Quindi, per evitare il peggio, i bianconeri hanno pigiato sull’acceleratore per poter continuare a giocarsi una fetta di gloria. L’Ambrì, per contro, è già in ferie. Con somma delusione e tristezza di tutti: dirigenza, staff, giocatori e sostenitori.

Le curve, ne sono convinto, sono benzina super. Ovviamente non hanno prodotto solo poesia. Canti, slogan e striscioni non nascono sempre in punta di penna. Ma è giusto sottolineare che la loro creatività è frutto della fede e dell’amore incondizionato nei confronti dei colori e della maglia. Le curve sono onnipresenti. Anche quando le cose non girano per il verso giusto. E se, come è capitato qualche settimana fa a Lugano, per una sera, gli ultrà disertano gli spalti, lo fanno a fin di bene. Per manifestare il loro disappunto e la loro delusione. Non potremo mai affermare con certezza se questi metodi aiutino a reagire. Il Lugano, sia pure non in modo fragoroso, lo ha fatto. L’Ambrì, dal canto suo, quest’anno non è mai stato messo in discussione dalla tifoseria organizzata. Il trionfo alla Spengler ha messo le ali agli ottimisti e ha tarpato quelle dei pessimisti. Quando, dopo una serie di otto sconfitte consecutive, osservo e ascolto la Sud che canta «siamo sempre con voi, non vi lasceremo mai», comprendo il senso della parola «fede» molto più profondamente di quando, da ragazzino, frequentavo il catechismo.