Il vocabolario della politica si arricchisce, di tanto in tanto, di nuove espressioni. Il «conflitto generazionale» è un’espressione che ha cominciato a venir impiegata da quando la popolazione ha iniziato ad invecchiare. Da allora infatti si è fatta larga l’opinione che, per il peso sempre maggiore delle classi più anziane nella popolazione, potesse nascere un conflitto per la distribuzione di risorse scarse tra le classi più giovani e, per l’appunto, quelle più anziane della popolazione. In Svizzera l’inasprirsi di questo conflitto viene descritto dal progressivo declino del valore del rapporto tra popolazione in età lavorativa e popolazione con 65 anni e più. Questo perché il finanziamento dell’assicurazione vecchiaia e superstiti e, per molto tempo, anche del secondo pilastro pensionistico, era largamente assicurato dai contributi sui salari e gli stipendi pagati da coloro che lavoravano, cioè dalle persone più giovani. Quando, nei primi anni dopo il secondo conflitto mondiale, un po’ in tutte le nazioni dell’Europa occidentale, furono introdotti gli schemi assicurativi che garantivano a coloro che avevano lavorato tutta una vita una rendita di vecchiaia, gli esperti pensavano che, anche in futuro, il rapporto tra le classi di età della popolazione non sarebbe cambiato, vale a dire che ci sarebbero sempre state abbastanza persone in età lavorativa per finanziare le rendite di vecchiaia di chi andava in pensione. Di fatto però, il rapporto tra anziani e persone in età lavorativa ha continuato a diminuire. Per esempio in Ticino il valore di questo rapporto che nel 1980 era ancora di 4.2 persone che lavoravano per un pensionato, è sceso, nel 2020, a 2.7.
Il peso dei pensionati sulle spalle di chi lavora è aumentato in proporzione e continuerà ad aumentare se non si prendono provvedimenti correttivi. Non sorprende quindi di sentir parlare, in toni sempre più preoccupati, di conflitto generazionale. Questo anche perché, quasi sempre, le soluzioni che attualmente vengono proposte per migliorare il finanziamento delle pensioni chiedono a coloro che lavorano sacrifici maggiori, non da ultimo quello di lavorare qualche anno in più prima di andare in pensione, risparmiando invece i beneficiari delle rendite di vecchiaia. Non ci si deve quindi stupire che vengano rifiutate, una dopo l’altra, in votazioni popolari. Alt, alt: stando a quanto hanno scritto di recente nella NZZ due economisti dell’Università di Friburgo sembra che questo modo di interpretare l’opposizione popolare alle riforme dell’AVS non sia esatto. Secondo il professor Reiner Eichenberger e una delle sue dottorande, Patricia Schafer, il conflitto generazionale costituito dalla redistribuzione del reddito dai gruppi di popolazione più giovani a quelli più anziani di fatto non esisterebbe. Questo almeno per la popolazione di nazionalità svizzera. La redistribuzione del reddito si farebbe invece tra i lavoratori stranieri che non hanno genitori al beneficio della pensione in Svizzera e la popolazione anziana che riceve una rendita dall’AVS.
In altre parole, stando ai due economisti friburghesi le riforme del sistema pensionistico non possono passare il capo delle votazioni popolari perché non solo sono combattute da chi è già al beneficio della pensione, ma anche dagli svizzeri che lavorano, che hanno genitori che ricevono la rendita AVS e che si sentono perciò di dover solidarizzare con loro. I lavoratori stranieri, che non hanno genitori in Svizzera, invece, pagano i contributi per l’AVS e non possono pronunciarsi su eventuali riforme del sistema pensionistico nazionale, perché non hanno il diritto di voto. Stando a Eichenberger e Schafer, per questi lavoratori i contributi all’AVS devono essere considerati come un’imposta implicita sull’immigrazione. Questa «imposta» fa sì che la redistribuzione del reddito si fa, non tra i giovani e gli anziani, ma tra i lavoratori stranieri che non hanno genitori in pensione e non possono votare in Svizzera, da un lato, e il complesso dei titolari di rendite AVS e loro figli che invece possono votare, dall’altro. Così, proposte come quella di alzare l’età del pensionamento non avranno mai successo alle urne perché il gruppo di popolazione che ne potrebbe profittare, vale a dire gli stranieri che lavorano in Svizzera e non hanno genitori in pensione nel nostro paese, non hanno il diritto di voto. L’argomentazione dei due economisti di Friburgo sembra dunque suggerire che per risanare le casse dell’AVS dovremo dare il diritto di voto agli stranieri.