Che tempo farà?

/ 01.04.2019
di Franco Zambelloni

Lo scorso venerdì 15 marzo più di 4000 studenti hanno disertato la scuola per andare a Bellinzona a manifestare in difesa del clima. Ovviamente viene naturale pensare che la manifestazione avrebbe anche potuto svolgersi di domenica, ma in tal caso avrebbe forse contato meno adesioni. Comunque, nella forma dello «sciopero», l’iniziativa – oltre ad essere più attrattiva per molti giovani – ha probabilmente avuto un maggiore impatto sull’opinione pubblica. Se poi si considera che si è trattato di una «giornata mondiale» in difesa dell’ambiente (centinaia di migliaia di giovani si sono mobilitati dalla Russia all’America, dall’Europa all’Asia), si può magari sperare che qualcosa possa cambiare, non solo nel clima, ma nella mentalità della gente e nelle iniziative dei politici.

Ma è difficile essere ottimisti al riguardo, considerando le non poche delusioni precedenti. Il fallimento del «Vertice mondiale sul clima» di Copenaghen, del dicembre 2009, è dovuto principalmente al fatto che molti politici – Obama in primo luogo – non presero vere iniziative, ma elargirono solo qualche frase di circostanza. Il «protocollo di Kyoto» risale al 1997 e fu sottoscritto da più di 180 nazioni, con lo scopo di ridurre le emissioni ritenute responsabili dell’effetto serra. Ma si sa, aderire alle iniziative e manifestare buone intenzioni è relativamente facile; molto più difficile è metterle in atto. Quando, nel 2012, il Protocollo di Kyoto cessò di valere, risultò chiaro che l’obiettivo di far nascere una politica climatica vincolante era stato mancato. Peraltro, almeno a parole resta condiviso l’Accordo di Copenaghen, che ha ratificato l’intenzione di contenere il riscaldamento della Terra a non più di due gradi Celsius rispetto ai livelli precedenti all’industrializzazione.

Ad aumentare i dubbi e le perplessità c’è però anche il fatto che non abbiamo certezze circa i fattori che determinano il riscaldamento globale. Il clima non è mai stato stabile. Più di 10’000 anni fa ebbe termine l’ultima Era glaciale, e dobbiamo a quel riscaldamento climatico l’inizio della civiltà: cominciarono le coltivazioni, ne derivò l’urbanizzazione ed ebbe così inizio la nostra storia. Poi ancora, dal 1000 al 1300 circa si ebbe un nuovo innalzamento della temperatura, che successivamente ridiscese soprattutto tra il XVII e il XVIII secolo, per poi tornare ad innalzarsi. In un libro dal titolo Storia culturale del clima, Wolfgang Behringer ha indagato gli effetti di questi cambiamenti climatici e le ripercussioni che hanno avuto sulla storia e sulle civiltà; ma ha anche indicato numerose «bufale» e provate inesattezze di studi recenti sul clima.

Che cosa ha determinato quei capricciosi sbalzi di temperatura del passato? In realtà si possono solo fare ipotesi, così che anche per il surriscaldamento attuale non possiamo avere la certezza che l’unico fattore determinante sia l’emissione di gas serra. In ogni caso, trovo positivo che la gioventù si mobiliti a salvaguardia dell’ambiente e a tutela del futuro. Non so che impatto possa avere la loro manifestazione di protesta: nei Paesi democratici, qualche peso forse lo avrà; dopotutto questi giovani sono l’elettorato di domani e il politico deve pure annaffiare il suo orto. Ma quello del clima è un problema mondiale e servirebbero, per affrontarlo decisamente, accordi internazionali e una volontà politica comune: cose che al momento non ci sono. Ciononostante, la protesta giovanile mi sembra utile, per lo meno ai giovani.

Perché? Perché in un’epoca come questa, dove si vive alla giornata, consumando il tempo nel divertimento e nella noia, imparare a pensare al futuro è importante. E poi la gioventù ha bisogno di ideali, di cause per le quali combattere: i giovani s’infiammano più facilmente per una causa e s’entusiasmano per un sogno. La storia lo prova: Saint-Just e Robespierre erano quasi adolescenti quando assunsero la guida della prima grande rivoluzione dei tempi moderni; dopo di allora furono ancora le giovani generazioni all’avanguardia dei movimenti rivoluzionari, nelle rivolte francesi del 1830, 1848, 1871, nell’ottobre polacco e nella rivolta ungherese del 1956, nel ’68 di Daniel Cohn-Bendit e Rudi Dutschke. Poi i tempi sono cambiati, è cambiata anche la gioventù: forse perché, quando hai già tutto, non c’è più niente per cui combattere, niente da conquistare. Ora è possibile che il rischio ecologico possa far nascere nuovi ideali: non per un mondo migliore, ma semplicemente per un mondo da salvare.