Che cosa faranno da grandi?

/ 15.08.2022
di Angelo Rossi

Nonostante le difficoltà e i rischi che pendono sul futuro, attualmente il mercato del lavoro svizzero sta funzionando in modo più che egregio. Dopo l’impennata degli anni 2020 e 2021, dovuta alla pandemia di Covid, il tasso di disoccupazione è ridisceso – sia a livello svizzero sia cantonale – ai livelli bassissimi di prima. Così nel mese di luglio del 2022 i disoccupati iscritti in Ticino erano 3847, ossia un paio di centinaia di meno di quelli del giugno 2019.

Come succede sempre quando il tasso di disoccupazione scende ai suoi valori più bassi, a livello dei media e delle reti sociali nasce il dibattito sulla scarsità di manodopera che coinvolge immediatamente nella polemica due ambiti di intervento della politica statale: la politica immigratoria e quella della formazione professionale. Delle due quest’anno è la politica della formazione che è stata presa particolarmente di mira. Da più parti, in Ticino in particolare dagli esponenti dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti), si è rimproverato ai responsabili di questa politica di privilegiare la formazione a livello terziario (universitario) rispetto alle carriere professionali che non esigono un certificato di maturità. Così facendo lo Stato non risponde al fabbisogno in manodopera dell’economia locale concentrato su professioni che non richiedono la maturità. Inoltre, per l’insufficienza dell’offerta di lavoro locale, molti laureati ticinesi devono cercare un’occupazione fuori Cantone.

È probabile che questa sorte colpisca maggiormente le donne con formazione universitaria degli uomini. A questa situazione del mercato del lavoro ticinese, poco favorevole ai portatori di lauree, si oppone invece il quadro delle aspettative dei giovani ticinesi ancora in formazione. È un dato di fatto che emerge, da decenni, dai risultati dell’inchiesta annuale sulle scelte scolastiche e professionali degli allievi che hanno terminato la quarta media e che, di recente, è stato riconfermato da un’analisi dei risultati dell’inchiesta «Pisa» per il 2018. La stessa è stata eseguita da Alice Ambrosetti e Francesca Crotta, due ricercatrici della Supsi che hanno pubblicato i loro risultati nel numero di giugno di quest’anno della rivista «Dati». Il loro campione era formato da giovani di 15 anni, persone quindi che avevano, al momento dell’inchiesta, un anno in più dei giovani che concludono la scuola media. Questi giovani avevano quindi già effettuato la scelta tra il tirocinio (o la scuola professionale) e le formazioni che portano alla maturità federale.

In termini di aspettative educative la preferenza per un percorso che porti all’università, o comunque a un titolo di livello terziario, si è rivelata, in questo campione di giovani, ancora più pronunciata di quella che potrebbe essere dedotta dai risultati delle inchieste condotte tra gli allievi della quarta media. Nell’inchiesta «Pisa» il 51% ha dichiarato di voler concludere la loro formazione con un diploma universitario mentre un altro 11% si aspetta di ottenere un diploma in una formazione professionale superiore di tipo terziario (scuole specializzate superiori). Un secondo risultato molto interessante derivato dall’inchiesta in questione riguarda le aspettative professionali dei quindicenni e delle quindicenni ticinesi. Che cosa desidererebbero fare, da grandi, i giovani ticinesi?

La prima constatazione che si può fare è che in Ticino, ancora oggi, la scelta professionale è una questione di genere. Rispondendo alla domanda sul tipo di lavoro che pensavano di esercitare quando avrebbero avuto trent’anni i partecipanti maschi hanno scelto professioni come ingegnere informatico, poliziotto (sì, proprio così!), architetto, elettricista, meccanico o polimeccanico. Le partecipanti femmine si sono invece dette pronte a diventare medica specialista, infermiera, medica generalista, avvocata e psicologa. Nessuna quindi delle cinque professioni maggiormente scelte dalle ragazze si ritrova nelle cinque maggiori preferenze maschili. L’analisi, condotta dalle ricercatrici della Supsi ha rivelato un terzo risultato molto interessante. Esse hanno infatti potuto provare che, relativamente al campione dell’inchiesta «Pisa», esiste una correlazione positiva «piuttosto evidente» tra le aspettative educative e quelle professionali. Più alta è l’aspettativa professionale espressa da questi giovani e migliori sono le loro prestazioni in lettura, matematica e scienze al test «Pisa». Leggendo i risultati dello studio di Ambrosetti e Crotta sembra quindi di capire che i giovani ticinesi hanno imparato, a 15 anni, che per arrivare in alto bisogna sgobbare: le lauree non gliele regala nessuno!