È da salutare con favore il risveglio della società civile ticinese, quelle associazioni e quei circoli informali che negli ultimi tempi hanno avvertito il bisogno di intervenire su temi rimasti impaludati nelle sabbie mobili del rinvio e dell’attesa. Anche l’opinione pubblica più attenta ha capito che qualche ingranaggio si è inceppato nell’albero motore della politica cantonale, ostruendo i tradizionali canali in cui solitamente scorrono progetti e decisioni.
Si è iniziato con la demografia, argomento complesso e dai mille risvolti, che dalle coppie, dalle loro scelte private, si allarga a tutta la società. Dopo anni di ascesa ininterrotta, la curva demografica si è arrestata, per anzi leggermente calare. Dobbiamo preoccuparcene? A prima vista no, perché i numeri assoluti sono ancora bassi. Ma chi studia da vicino questi fenomeni sa che per invertire la rotta occorrono anni, decenni, come rinfoltire una foresta distrutta dal fuoco. Non esistono ricostituenti dagli effetti immediati. Occorre innanzitutto ripristinare un clima di fiducia, ridare ossigeno alle famiglie; in secondo luogo organizzare una rete di sostegno, consultori e asili nido. Dalle imprese, pubbliche e private, devono giungere messaggi che non penalizzino la donna attiva professionalmente: non corse ad ostacoli ma agevolazioni nel conciliare famiglia e lavoro.
Procreare è sempre più un fatto sociale. Le sue ricadute impattano sul sistema previdenziale, sul rapporto tra le generazioni, sui percorsi formativi, e più in generale sulla mobilità tra valli e centri urbani, e infine sulla disponibilità di alloggi a prezzi accessibili. Soluzioni miracolistiche non esistono, ma individuare le aree critiche è già un buon punto di partenza. Invecchiamento e denatalità non sono fenomeni ignoti, le statistiche parlano chiaro. Meno appariscente era invece fino a ieri la cosiddetta «fuga dei cervelli», i giovani che dopo aver compiuto i loro studi negli istituti superiori d’oltralpe (università e politecnici), preferiscono non più rientrare nel cantone natale. Da un lato è un bene che una consistente fascia di accademici colga l’occasione per perfezionarsi nella disciplina in cui si sono laureati, migliorando pure le loro competenze in campo linguistico e relazionale. Ma dall’altro lato, questo mini-esodo dà la misura del persistente affanno dell’economia cantonale, che nonostante gli sforzi e i progressi nel campo della formazione non riesce ancora a raggiungere i vagoni di testa del convoglio nazionale. I salari inadeguati sono un indice eloquente, specchio di un mercato del lavoro distorto, che anche nei momenti di squilibrio può sempre contare su un bacino di manodopera, quello lombardo e piemontese, pressoché inesauribile. Già ora le maestranze straniere (frontalieri più residenti) superano in cifre assolute quelle autoctone. Conseguenza: il destino di un buon numero di settori produttivi, dall’edilizia alla sanità, è nelle mani dell’Italia settentrionale e dei suoi saliscendi congiunturali.
I rami economici ora occupati prevalentemente da frontalieri non saranno mai attrattivi per i ticinesi. Il Ticino è infatti il cantone che registra il maggior tasso di maturità liceale della Confederazione. È quindi improbabile che le famiglie accettino per i loro rampolli una riduzione delle aspettative e delle prospettive di carriera. Siamo realisti: nei cantieri e nelle fabbriche le giovani generazioni non torneranno più. L’unico sbocco sicuro è dato dai settori più promettenti, come la ricerca biomedica, l’industria farmaceutica e i profili professionali definiti con l’acronimo inglese Stem, in italiano «scienza, tecnologia, ingegneria e matematica». Ma anche qui, per convincere i talenti a rientrare, occorrerà che le imprese creino posti interessanti e ben retribuiti.
Com’è ormai chiaro, non c’è molecola del nostro vivere in società che abbia una vita autonoma. Per questo è bene che le singole iniziative emerse negli ultimi anni (animate da Coscienza svizzera, dal «Manifesto per una trasformazione ambiziosa del Ticino» e dal gruppo «per.lugano») trovino ascolto sia nell’opinione pubblica attraverso i media, sia nei luoghi deputati alla decisione politica. Anche i partiti potrebbero riguadagnare prestigio e credito nel loro ruolo di cinghia di trasmissione tra la società civile e l’attività dei legislativi. L’auspicio è che i diversi attori riescano a parlarsi, accantonando rivalità e presunti primati.