C’è del marcio nella Grande Mela

/ 05.04.2021
di Cesare Poppi

Il settore dell’opinione pubblica più attento, quello che come i lettori dell’Altropologo merita l’encomio di essere «informato dei fatti», è ben consapevole che il percorso storico di quel peculiare ed indesiderabile status civile che è la condizione di schiavitù abbia incontrato nel corso della storia più di un ostacolo. Questo in attesa che maturasse quel minimo sindacale di coscienza civile collettiva per cui, oggi, si cerca perlomeno di contenere un fenomeno che peraltro perdura.

Chi non conosce la vicenda di Spartaco? E certi vi sono che ricordano come la prima «vera» rivoluzione moderna non sia stata la conseguenza della presa della Bastiglia bensì la rivoluzione haitiana di Toussaint Louverture. Quest’ultima peraltro prontamente repressa proprio da chi, ancora fresco di barricate contro l’Ancien Régime, si domandò se non si fosse andati troppo oltre e la situazione potesse scappare di mano a partire dalle colonie: liberté in casa but not in my backgarden. Lungo le stesse linee, siamo pronti a riconoscere che rivolte di schiavi si siano succedute nelle Colonie delle potenze europee, sinonimo ancor oggi di ritardi ed arretratezza economica e politica. I chilombo brasiliani, i Mapuche del Cile, i Maroons del Suriname, i rivoltosi della nave negriera Amistad già celebrati in questa rubrica ci possono anche stare – là fuori nel mare Oceano e oltre, ma non vicino a noi in quella che è diventata la Porta Accanto della Civiltà.

Ai primi del ’700 New York aveva una popolazione di schiavi fra le più numerose del New England. Lavoravano come servi domestici, come bassa manovalanza ma anche come mastri artigiani. Alcuni erano asserviti a datori di lavoro neri di status liberi. Tendevano a vivere in quelli che divennero poi i ghetti, e questo implicava che, al contrario degli schiavi nelle piantagioni, potevano frequentarsi e comunicare liberamente. La memoria della legislazione sugli schiavi relativamente liberal vigente quando New York era colonia Olandese, prima del giro di vite imposto dagli Inglesi, ancora circolava accanto allo spettacolo quotidiano del mercato degli schiavi che la Royal African Company gestiva nelle adiacenze dell’attuale Wall Street e alimentava illecite fantasie. La Grande Mela cresceva in termini demografici ed economici. Ai primi del ’700 un buon 20% della popolazione newyorkese era costituito da schiavi. Furono introdotte misure restrittive dei movimenti e degli assembramenti: non più lontano di un miglio da casa in gruppi di meno di tre persone e distanziamento sociale dai bianchi nei luoghi pubblici ed in chiesa (proprio così: ogni riferimento a fatti attuali etc…).

In questo clima, un gruppo di più di venti schiavi neri si radunò la notte del 6 aprile 1712 ed appiccò fuoco ad una costruzione in Maiden Lane, accanto a Broadway. Quando una folla di Bianchi si organizzò per spegnere l’incendio, i rivoltosi attaccarono con pistole, asce, coltelli e bastoni. Sparirono poi nel nulla per poi farsi trovare, come da regolamento, nelle case dei loro padroni dalle forze di polizia inquirenti. Non bastò: settanta schiavi neri furono arrestati. Sei si suicidarono in carcere. Ventisette furono processati. Di questi ventuno furono dichiarati colpevoli e condannati a morte. Una era una donna incinta: nonostante la pratica dettasse che una donna incinta non potesse essere messa a morte non scampò al suo fato. Gli altri furono messi al rogo. Uno dei condannati fu giustiziato in pubblico mediante la spettacolare sequenza della Ruota di Santa Caterina: troppo ripugnante per essere descritta su queste pagine, parola di Altropologo.

Seguì un periodo di ulteriori restringimenti delle misure sulla «libertà» degli schiavi. Neri e Indiani senza distinzioni. Primo fra tutti il provvedimento che prevedeva la pena di morte per crimini contro la proprietà, stupro e cospirazione contro l’ordine costituito posto che questi fossero stati commessi da uno schiavo. Se poi un padrone di schiavi – ironia – avesse deciso di manomettere (ossia liberare) un suo schiavo per qualsivoglia ragione avrebbe dovuto pagare una tassa superiore all’acquisto dello stesso al mercato. Black lives matter.