La notizia: la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, esposta nella collezione permanente di design al Moma di New York, compie 70 anni. Per l’occasione mi è stato chiesto di commentare la sua entrata in scena mettendola in relazione con l’evoluzione della società italiana. Ho declinato l’offerta, non essendo capace di elaborare considerazioni generali.
Ho preferito lasciare a lei la parola ed ecco il risultato. «Mi presento: sono la Lettera 22 di Bruno Gambarotta. E di nessun altro. La mia prima volta è stata con lui, erano sue le mani che accarezzavano i miei tasti. L’ultimo suo sguardo prima di addormentarsi era rivolto a me e il primo al suo risveglio. Io ero lì, docile, pronta a ogni suo desiderio e nessuno che non fosse lui poteva permettersi di sfiorarmi. Sono trascorsi 64 anni da allora ma è come se fosse successo ieri. Luglio 1956, Bruno ha 19 anni e si diploma perito fotografo all’istituto Bodoni di Torino. È il primo della famiglia a completare gli studi in una scuola media superiore. Il fratello e i tanti cugini ci sarebbero arrivati negli anni seguenti.
I parenti si mettono tutti insieme per fargli un regalo. «Cosa desideri?» gli domandano prevedendo che risponda «un apparecchio fotografico», visti i suoi studi. Invece lui desidera «una macchina da scrivere», ma non una qualunque, vuole la «Lettera 22». L’ha vista in una foto poggiata sulle gambe ripiegate di Indro Montanelli seduto a terra, la schiena appoggiata al muro, intento a scrivere. Era stato in visita scolastica a Ivrea nello stabilimento dove sono nata; per accedere alla meravigliosa biblioteca di via Viotti a Torino si era iscritto al Movimento Comunità e lì un giorno aveva incrociato per caso Adriano Olivetti che gli aveva chiesto cosa stesse leggendo.
Tutti pensavano che lui volesse fare il fotografo, invece desiderava guadagnarsi da vivere scrivendo anche se per molti anni è stata la fotografia a dargli da mangiare. Se gli capitava l’occasione di realizzare il servizio fotografico a un matrimonio ne approfittava per strafogarsi al rinfresco. Quello di scrivere però era un desiderio segreto, confidato solo a me, il suo motto era «Nullo die sine linea» e non è mai trascorso un giorno senza che lui infilasse un foglio nel rullo e iniziasse a battere sui tasti. La scintilla era scoccata in terza media, ad Asti, quando l’insegnante di italiano si era rifiutata di mettere un voto su un suo tema in classe dicendo: «L’hai copiato, è impossibile che un ragazzo della tua età scriva così bene».
Non dovete pensare però che lui nei primi tempi si servisse del mio aiuto per scrivere racconti o romanzi. Scriveva lettere alle grandi aziende del territorio per domandare se per caso avevano bisogno di un fotografo diplomato a pieni voti. Per la cronaca, non ha mai ricevuto risposta. Quanto agli annunci economici di offerte d’impiego pubblicati dalla Stampa, avevano tutti la maledetta clausola «militesente». Così il mio amico si è stufato e ha battuto una lettera che mi ha fatto piangere tutta la notte con la quale faceva domanda di essere arruolato nell’Esercito.
Il giorno della partenza per la scuola allievi ufficiali mi ha chiuso dentro un armadio e si è portato via le chiavi. Promosso sottotenente, e disponendo in caserma di «Una camera tutta per sé» (copyright Virginia Woolf) il nostro sodalizio si rinsalda e da allora non ci siamo più separati neanche per un giorno, fino all’arrivo dei primi computer. Mi portava anche in vacanza e mentre i figli facevano il bagno o giocavano nel giardino dell’albergo, lui con una scusa se ne restava in camera e quando tutti erano usciti, apriva la custodia, mi estraeva e iniziava a battere i tasti. Mai di seguito, con tante interruzioni, pentimenti, consultazioni del vocabolario, correzioni. Non dimenticando di inserire dietro il foglio bianco la carta carbone e la carta velina per averne una copia.
Se Bruno raccontasse ai suoi nipoti come noi si lavorava penserebbero che sta parlando della seconda guerra punica. Insieme io e Bruno abbiamo ancora scritto il suo primo romanzo La nipote scomoda, pubblicato da Mondadori. L’altro autore era Massimo Felisatti, che rivedeva il testo modificandolo, noi lo battevamo un’altra volta e via così, tanto che alla fine lo sapevo a memoria. Nell’estate del 1981 Bruno mi ha portato con sé in crociera per 35 giorni su una nave della Costa: era stato ingaggiato alla pari facendosi accompagnare dalla moglie e da una figlia. Faceva l’animatore e fra i suoi compiti c’era quello di ideare e condurre ogni pomeriggio un quiz, con quattro risposte per ogni domanda. Lo scriveva con me così ne sapevo più io dei passeggeri.
Quella meravigliosa epoca si è chiusa ma io posso affermare con orgoglio che nessuno, tranne Bruno, ha mai messo le mani sulla mia tastiera. Adesso che sono in pensione mi riposo dentro la custodia, chiusa in un armadio. L’altro giorno Bruno è venuto a controllare che fossi ancora lì. Starà pensando di tirarmi fuori per festeggiare il mio 70esimo compleanno».