La lettera Il mio capo è una donna deve aver toccato un nervo scoperto della condizione femminile perché non poche lavoratrici hanno espresso, nei confronti delle loro dirigenti, critiche ancor più forti di quelle formulate da Manuela nella lettera pubblicata il 26.02.2018.
Ma, tra tante testimonianze negative, ho preferito dar voce alla lettrice Viviane Weller in quanto, non solo racconta, come dirigente, una esperienza positiva, ma assume un atteggiamento critico nei confronti della mia risposta, inducendomi così a un approfondimento.
Scrive infatti Viviane Weller:
Da quando ho terminato il Politecnico sono capa in un ambiente prevalentemente maschile (sono ingegnere civile). Sono capa per via della mia formazione: ho dovuto da subito impormi in cantiere ma anche in ufficio verso i colleghi di lavoro. Ho sempre cercato una via diversa per fare il capo, proprio perché volevo restare donna. Ho cercato dei modelli per capire come comportarmi: non ne ho trovato nessuno se non il modello della madre. Infatti cerco di dirigere come ho educato i miei figli: fissare regole chiare e poi farle rispettare, incoraggiare lo sviluppo professionale di ognuno, comunicare personalmente e non tramite e-mail etc.
Anche la mia esperienza è che gli uomini non hanno problemi ad accettare una donna competente e che ci danno il giusto posto nella gerarchia. Ho spesso invece avuto problemi con le donne, in particolare con le segretarie. Sono arrivata alla conclusione che le gerarchie tra donne si basano sull’età.
Una donna più anziana non riesce a riconoscere una donna più giovane come capo. Lei come psicologa potrà spiegare il perché. Oggi ho 55 anni e non ho più problemi con le collaboratrici: sono convinta che questo è semplicemente dovuto alla mia età “avanzata”. La ringrazio per il suo lavoro che apprezzo molto. Leggo i suoi articoli e mi piace molto il suo approccio umano e positivo verso i problemi altrui. Questa volta mi sembra che sia caduta nella trappola dei preconcetti generali, preconcetti che ci impediscono di raggiungere le posizioni gerarchiche consone alle nostre capacità. / Viviane Weller
Gentile lettrice, grazie, in primo luogo, per averci scritto riconoscendo così che il senso di questa rubrica non risiede tanto nelle mie risposte quanto nel dialogo che riesce a instaurare.
Accetto la critica che mi rivolge e mi riprometto di riflettere nella convinzione che nessuno è immune da pregiudizi ma che, insieme, possiamo superarli.
Io invece mi trovo perfettamente d’accordo con lei e condivido le sue scelte. Innanzitutto, anche se lei non lo dice espressamente, deve averle giovato, nei rapporti con i colleghi maschi, un’evidente competenza professionale ma, evitando di imitare il loro stile, ha preferito cercare di esprimere, anche sul luogo di lavoro, la sua identità femminile.
Credo che un modo (probabilmente non l’unico) di assumere una posizione di comando restando fedeli al proprio genere sia quello di attingere alle nostre potenzialità generative, indipendentemente dalla loro realizzazione. Un patrimonio fatto di immagini, affettività e disponibilità rivolte a organizzare le funzioni procreative del corpo femminile. Un corpo pensante atto a ricevere, proteggere, nutrire e accudire, un organismo ospitale, disposto a contenerne un altro rinunciando, per un certo periodo, alla propria integrità e alla propria autonomia. Eppure pronto a lasciare che l’altro progressivamente si allontani, divenga se stesso, magari molto diverso da come la madre l’aveva sognato e atteso. In ogni caso la madre non sospende mai l’attenzione e la disponibilità. Nei confronti dei figli poi cerca di attenersi a una giustizia distributiva fissando regole obiettive e dando di più a chi ha più bisogno.
Storicamente le forze fisiche e psichiche delle donne sono state, salvo eccezioni, spese all’interno della famiglia e della casa. Ma ora le cose sono cambiate e tutta la società può avvalersi delle loro risorse. Si tratta comunque di riconoscerle e di valorizzarle, come lei sta facendo.
Se soltanto ora, che ha i capelli grigi, si sente accettata dalle segretarie (una posizione molto particolare per prossimità e dedizione) è perché la differenza di età le fa sentire figlie di una madre simbolica Una delle caratteristiche più preziose della maternità mi sembra la sua componente creativa. La mente materna infatti immagina dapprima inconsciamente poi razionalmente il bambino che nascerà, lo prefigura, lo inventa, come l’artista fa col progetto della sua opera.
Lo stesso può accadere nei rapporti di lavoro se la dirigente vede in ciascuno dei suoi collaboratori, in particolare nei più giovani, un soggetto in formazione, una personalità che, grazie alla competenza e all’esperienza acquisita, può procedere con autonomia e indipendenza.
Viviamo in un’epoca dove il progressivo ricorso all’automazione rende superflui i lavori esecutivi e richiede invece, alle nuove leve, capacità innovative e creative. Proprio quelle che le donne, meno condizionate degli uomini da rapporti gerarchici, possono promuovere e incentivare.