In Italia ha destato emozione e anche sdegno la notizia – arrivata a metà agosto – che Roberto Mancini, il commissario tecnico (ct) che aveva portato la Nazionale alla conquista del campionato europeo di calcio, ha deciso di lasciarla; probabilmente per i 25 milioni di euro (forse di più) che gli hanno offerto i sauditi, per allenare la loro, di Nazionale. Se andasse davvero a finire così, se davvero Mancini diventasse il ct dell’Arabia Saudita, per lui sarebbe certo un danno alla reputazione e non solo, ad esempio non potrebbe più girare i numerosi spot pubblicitari che faceva da commissario della Nazionale; eppure noi appassionati di sport non avremmo diritto di stupirci. Tutto è cambiato da quando gli sceicchi hanno deciso di investire le loro ricchezze – frutto del petrolio ma anche dell’elusione fiscale internazionale – nel calcio. Il Manchester City ha vinto la sua prima Champions quest’anno; ma da un decennio domina la Premier inglese, il campionato più importante del mondo. Il Paris Saint Germain la Champions non l’ha ancora vinta; ma da tempo non gli sfugge la Ligue 1, il campionato di calcio francese.
Ebbene, sia il City sia il Psg appartengono agli sceicchi. I petroldollari hanno pure comprato un Mondiale di calcio, quello del dicembre 2022 in Qatar, che è stato certo un grande successo organizzativo ma ha destato molte polemiche, ad esempio sul rispetto dei diritti umani. Ho seguito il Mondiale, e mi ha impressionato vedere lavoratori di così tante nazionalità – tunisini e pachistani, marocchini e afghani, kenyoti e cingalesi – trattati di fatto come schiavi. Purtroppo è il denaro che muove il mondo, e anche il calcio. Quest’anno sono andati a giocare in Arabia Saudita non soltanto i grandi vecchi, come Cristiano Ronaldo, ma anche calciatori ancora giovani nel pieno della carriera, come il laziale Sergej Milinkovic Savic. Certo, farebbe impressione se lo facesse anche l’ex allenatore della Nazionale. Ma già nel 2016 il ct Antonio Conte lasciò gli azzurri per andare ad allenare il Chelsea. Squadra di Londra che allora apparteneva non a uno sceicco, ma a un oligarca, Roman Abramovic, che all’inizio della guerra in Ucraina ha tentato una forse generosa ma certo inutile mediazione tra i belligeranti.
Qualcuno sostiene che Mancini si sia offeso perché il commissario federale Gravina gli ha cambiato lo staff senza il suo consenso; ma lui ha negato che il problema sia l’arrivo come capodelegazione di Gianluigi Buffon, il veterano azzurro che prenderà il posto di Gianluca Vialli, il grande amico di Mancini prematuramente scomparso. Di sicuro la moglie di Mancini, che gli fa da manager, aveva chiesto la cancellazione della clausola che prevedeva il licenziamento del ct in caso di mancata qualificazione all’Europeo del 2024. Gravina ha detto no; e Mancini se n’è andato. Ora è tempo di guardare avanti. La qualificazione all’Europeo 2024 è ancora da conquistare; e tutto è nelle mani del successore di Mancini, Luciano Spalletti. Un tipo molto diverso. Mancini è riservato ma è uomo di mondo, è collezionista d’arte, sa trattare i giornalisti. Spalletti è imprendibile. L’ho conosciuto ai Mondiali del 2006 in Germania, dov’era come osservatore, e non sono riuscito a parlargli: diffidente, sfuggente. A Napoli però ha fatto un miracolo, vincendo il terzo scudetto dopo i due di Maradona. Poi ha rotto con il presidente Aurelio De Laurentis. Per lui è chiusa una porta; si è aperto un portone.
La Nazionale oggi è da rifondare. L’Europeo non è stato vinto soltanto grazie alla fortuna; la vera congiunzione astrale è stata quella che ha portato all’esclusione del Mondiale, per mano della Macedonia del Nord. Ma lo sport nazionale non può essere affidato al caso; perché il caso prima o poi ti volta le spalle. Con l’eliminazione dal Mondiale qatarino il calcio italiano ha toccato il livello più basso di sempre. Peggio delle sconfitte con la Corea del Nord nel 1966 e con la Corea del Sud nel 2002. Peggio dei disastrosi Mondiali in Sudafrica e in Brasile. Tutto il calcio italiano è da ripensare. Troppa tattica, poca tecnica. Stipendi troppo alti rispetto al valore e al rendimento, poca cultura calcistica. E troppo potere ai procuratori. Non si tratta solo di trovare undici campioni all’altezza della maglia azzurra. Si tratta di lavorare sui vivai, di motivare i giovani, di preparare atleti che siano capaci di muoversi non soltanto sul campo ma anche nella vita. Consapevoli che il denaro è importante; ma non è la misura del valore di una persona.
Calcio, con gli sceicchi tutto è cambiato
/ 28.08.2023
di Aldo Cazzullo
di Aldo Cazzullo