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Bullismo coniugale

/ 17.12.2018
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Professoressa,

per noi le Feste di Natale sono sempre state importanti. Nessuno si sognerebbe mai, in quei giorni, di andare in crociera o a sciare. Ritrovarci tutti intorno alla tavola imbandita, scambiarci auguri e regali è un rito imperdibile.

Ma nessuna ricorrenza è senza nuvole. C’è sempre qualcuno che durante l’anno è stato ferito da un lutto o da una sconfitta. Ma, si sa , questa è la vita. Ciò che non sopporto sono le sofferenze inutili, quelle che nascono dalla cattiveria degli uomini e che sarebbe così facile evitare! Basterebbe tacere. Mi riferisco a mio cognato, il marito di mia sorella: un uomo senza infamia e senza lode che si vendica della sua mediocrità cercando di sminuire e umiliare la moglie che senza dubbio è molto meglio di lui. Dopo tanti anni i suoi commenti, fastidiosi e inopportuni, fanno ormai parte della festa e, in un certo senso, ce li aspettiamo. Ma risultano comunque sgradevoli e fuori luogo.

Faccio un esempio: rimane sul vassoio l’ultima fetta di torta e alla domanda: «chi ne vuole ancora?» è lui il primo a rispondere e, indicando la moglie, afferma in modo che tutti lo sentano: «datela a lei che è senza fondo!». A questa battuta mia sorella, che in effetti è un po’ in sovrappeso, si limita a sorridere ma a noi dispiace vederla umiliata, soprattutto agli occhi dei figli.

Non dimentico, cara professoressa, che ci sono al mondo questioni molto più gravi ma, dato che questa piccola sofferenza sarebbe facilmente evitabile, mi chiedo, e chiedo a lei: perché mia sorella, forte e intelligente, non reagisce alle offese di chi dovrebbe amarla e proteggerla? E perché lui, che si considera una brava persona, non si accorge di essere maligno? / Gabriella

Cara Gabriella,

come te anche Freud si rammaricava che, oltre ai dolori inferti dalla natura, ce ne siano tanti anni procurati da uomini, individui che non sanno quello che fanno perché non si conoscono e, di conseguenza, non conoscono gli altri, non si immedesimano con loro, non provano empatia e, come tuo cognato, non sono neppure in grado di avvertire il disappunto di chi li circonda. Col tempo si crea tra vittima e carnefice una complicità che è difficile scalfire perché metterebbe in crisi un equilibrio che, seppur con gravi costi, mantiene stabile la coppia.

Mentre l’aggressività fisica provoca evidenti lividi sul corpo, quella psicologica, ancor più lesiva, suscita invisibili lividi nell’anima ed è pertanto difficile individuarla e sanzionarla. L’aggressore, tutt’altro che sprovveduto, si accanisce di solito su una persona di valore. Altrimenti che gusto ci sarebbe a minarne l’autostima? Una persona che lui ha preventivamente sedotto con atteggiamenti amorosi per poi, una volta conquistata, manipolarla a piacimento. In questi anni, l’eguaglianza tra i sessi induce spesso le coppie a instaurare forme di competizione dove l’uomo, che non riesce a riconoscersi inferiore, reagisce con comportamenti di vero e proprio bullismo.

In questi casi il conflitto che il persecutore ha dentro di sé, tra il desiderio di primeggiare e la paura di fallire, invece di essere amministrato interiormente viene agito esteriormente nel tentativo di convincersi, tramite il consenso del prossimo, della propria presunta superiorità. Per fortuna la vittima non è mai completamente arresa agli attacchi del manipolatore, rimane pur sempre un’intimità inviolata, un Sé segreto cui affidare i residui dell’amor proprio. Se sua sorella non si fa valere, se tace, è perché teme l’abbandono, il dolore dei figli, la compassione degli astanti. Temo che, qualora la sua sofferenza diventasse insopportabile, cercherà di esprimerla con malesseri fisici, con disturbi organici, con sintomi di disagio esistenziale. Richieste di aiuto che chiedono di dar voce al silenzio, di aprire un dialogo che consenta di comprendere sé attraverso la condivisione con l’altro.

Cara amica, la sua capacità di sentire come proprio il malessere di sua sorella e di cogliere le complesse dinamiche che lo provocano le fanno onore. Lei è davvero una «sorella» nel senso pieno del termine. Rimanga pertanto disponibile ad accogliere ogni segnale di aiuto, ogni richiesta di dialogo perché spesso, cresciuti i figli, le madri si riprendono spazi di libertà e di autonomia che consentono finalmente di sottrarsi al ruolo di vittima. Ruolo che il partner, con diabolica abilità, ha costruito per loro ma, come dicevo, non necessariamente e non per sempre.