Cara professoressa Vegetti Finzi,
mia figlia Eleonora, seconda liceo, è una ragazza molto bella e molto brava. Riesce bene in tutto quello che fa, sport compreso, senza sforzo e senza vanto. Perché allora, mi chiedo, è perseguitata da atti di bullismo da parte di compagne di classe che dovrebbero esserle grate perché le ha sempre aiutate? È disponibile quando le chiedono appunti, un libro in prestito, un suggerimento nei compiti in classe e così via. E invece cosa riceve in cambio? Calunnie su facebook, esclusione dal gruppo delle ex amiche che, ridacchiando, le voltano le spalle appena la vedono...
Gli scorsi anni si era posto lo stesso problema per un’alunna peruviana che, piccola, scura e sovrappeso, era evidentemente diversa dalle altre. Ma, da quando ha cambiato scuola, le ritorsioni si sono spostate su Eleonora. E non capisco perché entrambe, così differenti, abbiano suscitato le stesse reazioni.
Specifico che nostra figlia non ci ha mai detto niente. Avevamo notato che il suo carattere era cambiato, da solare era diventata triste e silenziosa e, senza diminuire il profitto, andava malvolentieri a scuola. Se non fosse stato per una insegnante più sensibile delle altre, avremmo pensato che era una questione di età e avremmo aspettato che le cose cambiassero da sole. E avremmo sbagliato. Che cosa possiamo fare per aiutarla? / Genitori in pena
Cari genitori,
il più è stato fatto. Avete messo a fuoco il problema e siete determinati a intervenire. Troppo a lungo si è ritenuto che il bullismo fosse un comportamento maschile e che le femmine, meno aggressive, ne fossero immuni. L’equivoco è stato favorito anche dal fatto che il bullismo dei ragazzi si vede. Essendo più fisico, concreto, lascia segni evidenti: un occhio nero, una tuta strappata, uno zaino sparito... Quello femminile invece, più psicologico e indiretto, può passare del tutto inosservato. Complimenti all’insegnante che, non limitandosi al rapporto verticale cattedra-banchi, ha monitorato anche quello che avviene tra i banchi, le relazioni che gli alunni intrattengono tra di loro. Durante l’adolescenza ragazzi e ragazze sono particolarmente coinvolti nelle loro vicende e l’attenzione prestata alla lezione è spesso più formale che reale. Il compito che più li avvince è la definizione della loro identità che non può più corrispondere passivamente a quella attribuita dalla famiglia. La domanda socratica «chi sono io?» comporta anche un giudizio di valore su di sé che solo gli altri possono convalidare.
Il timore di essere inadeguati è esasperato nella società dell’apparenza, dove l’aspetto fisico è diventato predominante rispetto ad altre caratteristiche come l’intelligenza, il carattere, la solidarietà, l’empatia. Frequentando le adolescenti, non solo per interesse professionale ma anche come nonna, le vedo condizionate dall’ansia di corrispondere al tipo ideale proposto o imposto dai mass-media: alta, magra, spalle larghe, capelli lunghi, lisci e sciolti, jeans, maglietta, sneakers e zainetto. Sono così simili che si fa fatica a distinguerle. Nessuna cerca, come un tempo, di trovare il proprio stile, di esprimere la sua personalità. Le suggestioni che ricevono sono così forti da inibire la creatività individuale. Ma, poiché l’ideale è per definizione irraggiungibile, altrimenti non sarebbe tale, anche Eleonora benché quasi perfetta si sente inadeguata.
Di fatto tutte le sue coetanee si sentono così e, per difendersi dal senso d’inferiorità, proiettano su chi non sta nella norma, per difetto o per eccesso, la loro angoscia. Perseguitando le eccezioni affermano e confermano la regola. Il tacito consenso della classe è poi altrettanto preoccupante e dipende sia dal timore di diventare le prossime vittime sia dalla soddisfazione di sentirsi al sicuro: «per fortuna tocca a lei e non a me!». Si costituisce così un circolo vizioso dove la vittima può trasformarsi in carnefice. Per spezzarlo occorre coinvolgere la scuola, la classe, le famiglie. Non è un problema soltanto vostro, il bullismo, come una mala pianta, nasce e cresce dove trova un clima favorevole e, oltre a sradicarla, occorre bonificare l’ambiente riconoscendo le responsabilità individuali e collettive.
Non sottovalutiamo i lividi dell’anima prodotti dal bullismo femminile perché, non soltanto fanno più male di quelli fisici ma, se non si corre ai ripari, possono diventare indelebili.