BSI, una stampella per EFG

/ 08.05.2017
di Angelo Rossi

È passato un anno da quando la piazza bancaria ticinese ricevette la notizia-shock stando alla quale la BSI doveva entro un anno scomparire dal mercato per le operazioni illegali compiute dalla sua filiale di Singapore. Se ricerchiamo oggi, in internet, sotto la voce BSI troviamo l’invito a connetterci con EFG, la banca che l’ha rilevata, e, se no, una notizia giornalistica del mese di marzo che annunciava i primi licenziamenti per il mese di maggio. Se non dal mercato –  i suoi prodotti continuano infatti ad essere contrattati in borsa – la BSI sembra stia scomparendo dall’attualità economica.

I riflettori sono ora invece puntati sulla EFG-International, la banca che l’ha comprata. Quello che i commentatori stanno discutendo è la ragione per la quale la EFG-International ha effettuato questa operazione. Alla fine del 2016, al momento in cui si conclusero le prime trattative (allora, ricordiamo, il prezzo di acquisto era di 1,3 miliardi di franchi), si sosteneva che l’acquisto fosse stato fatto, da un lato, perché la BSI era in vendita e, dall’altro, perché riunendo le due banche si raddoppiava praticamente la dimensione dell’istituto creando una banca che avrebbe occupato il quinto posto tra le banche private del nostro paese. L’aumentata dimensione andava considerata come un fattore positivo per il futuro del nuovo istituto, in un settore dove la legge della concentrazione è imperante.

Dopo di che giunse la decisione della FINMA che fece apparire l’acquisto della BSI da parte della EFG-International come una vera e propria ancora di salvezza per l’istituto ticinese. Tanto difficile era diventata la situazione che la EFG-International ebbe partita facile nel chiedere una diminuzione del prezzo di acquisto portandolo da 1,3 a 1 miliardo. Nel marzo di quest’anno la banca zurighese domandò addirittura di ridurre il prezzo a 800 milioni. Vada come vada, si saranno detti i proprietari della BSI, cerchiamo di salvare il salvabile. Dall’altra parte, l’operazione di acquisto continuava ad essere giustificata con l’argomento della dimensione da aumentare, in un mercato sempre più concorrenziale.

Ora però che l’operazione è praticamente compiuta – anche se le conseguenze in termini di riduzione dell’impiego ancora non si vedono – sta emergendo una nuova interpretazione. In un articolo che il «Tages Anzeiger» ha pubblicato il giorno prima della recente assemblea generale di EFG-International si sosteneva che la banca zurighese avesse acquistato la BSI non tanto per migliorare la sua posizione competitiva quanto per assestare il suo bilancio. Stando a questo articolo, prima dell’acquisto della banca ticinese, i due terzi del capitale proprio di EFG-International erano rappresentati da polizze di assicurazione americane dal valore discutibile. Dopo l’integrazione di BSI queste polizze a rischio non rappresentano più che il 40 del capitale proprio dell’istituto.

Sembrerebbe quindi che l’acquisto di BSI sia stato fatto non tanto per migliorare le prospettive di sviluppo nel lungo termine degli affari della nuova banca, quanto e soprattutto per aiutare la EFG-International a ridurre il rischio che pesava sul suo bilancio. Insomma la stampella per sostenere il nuovo istituto non è stata messa a disposizione da EFG-International, ma dalla BSI.

Stando a un comunicato della banca zurighese, gli azionisti presenti all’assemblea generale hanno approvato i conti per il 2016 e la relazione annuale. Lo avranno fatto anche con maggiore convincimento sapendo che gli attivi che serviranno alla loro banca per ridurre i rischi legati alla valutazione delle polizze di assicurazione americane che ancora figurano nel suo portafoglio sono, per finire, costati molto meno di quanto inizialmente si pensava si dovesse sborsare per ottenerli. A fare il sacrificio sono stati gli azionisti di BSI.