Di tutta la diabolica faccenda tre fatti solo sono certi: il primo che è che gli inglesi non ne possono più; il secondo è che i britannici ne possono ancor meno ed il terzo è che il resto d’Europa ne ha piene le –. In materia di Brexit, scrivono i corrispondenti d’oltremanica del vostro Altropologo preferito, gli Inglesi in quanto tali sono ormai all’esasperazione per un processo che dura da più di tre anni senza che se ne veda la fine, procrastinazione dopo rinvio e sospensione dopo voto contrario per poi riproporre la stessa minestra riscaldata per vedersela rimandare in cucina con maledizioni per il cuoco. Il pubblico è esausto, l’audience comincia ad abbandonare la sala e tutti fischiano. Il problema è che non si capisce se lo facciano alla maniera dei concerti pop (inventati dai britannici) dove fischiare significa approvare o – appunto ahinoi – alla maniera dell’Opera Europea dover fischiare significa… fischiare. Insomma, il caos regna sovrano e quell’«Order! Order!» del povero Bercow – che tanto più somiglia ormai al Bertleby lo Scrivano di Melville che avrebbe «preferito di no» ma gli toccava, suona ormai come una sorta di Kyrie Eleison. Si è giunti addirittura ad una situazione per la quale la «sindrome da Brexit» è stata riconosciuta da alcune autorevoli associazioni di medici del lavoro come una forma particolare di depressione che affligge i giovani stock brokers della City per non saper più dovecomeperché investire. E per fortuna, mi scriveva un amico antico che conosce bene l’Italia, la sua storia e la sua cultura, per fortuna che l’arroganza (per altri la nonchalance e per gli ottimisti l’aplomb) degli inglesi (dicasi: inglesi – poi vedremo il perché) è tale da non contemplare «la bella figura» fra le virtù morali perché altrimenti sarebbe veramente grama.
In effetti come in affetti, per l’Altropologo che ha vissuto dopo tutto i venticinque anni migliori in quel cuore pensante e pulsante dell’Inghilterra che è Cambridge, rimane lo stupore e la meraviglia dello spettacolo del Parlamento più antico del Continente e forse del mondo moderno che, giorno dopo giorno, propone al resto del mondo un’immagine che sbanda fra l’esercizio di una democrazia suicida subalterna al Voto (lo sanno tutti ormai che la Brexit sarebbe un disastro) e l’irresponsabile imposizione, al limite dell’arroganza, di un’attesa senza fine per il resto del Continente. Le mattane protezioniste di Trump? La guerra in Siria? La questione curda? L’emergenza libica? I rifugiati? L’immigrazione? Intanto attendete che noi si decida cosa vogliamo fare da grandi poi… Il tutto mentre la stampa conservatrice resuscita la cultura dell’«Isola Contro Tutti» e lo spirito del Blitz che permise agli Inglesi di stringere la cinghia e resistere a Hitler: «Voi avete vinto la Coppa, noi abbiamo vinto la Guerra»: la peana di vittoria che i tifosi inglesi intonano ogniqualvolta la nazionale di calcio affronta la Germania (e perde) certifica di quello spirito revanscista che abbiamo visto risollevare la brutta testa durante la guerra delle Falkland. Ogniqualvolta ovvero la consapevolezza di star per fare qualcosa di moralmente riprovevole, cerca nel mito nazionale della resistenza al Male Assoluto contro tutto e contro tutti la foglia di fico giustificatoria da presentare alla Storia.
Si diceva gli Inglesi per non dire i Britannici. È infatti del tutto probabile che la fine dell’Europa Unita porti con se anche la fine del Regno Unito. Così come è successo in tutta Europa negli ultimi quarant’anni, la prospettiva di un’Europa plurale ed unita ha fatto crescere la coesione delle minoranze – nazionali e non – in tutto il Continente. Catalani, Baschi, Asturiani, Fiamminghi, Gallesi, Frisoni, Scozzesi, Bretoni, Cornici, Gallesi… la lista è lunga. Per tutti l’Europa ha significato il nuovo orizzonte sul quale riposizionare una riscoperta identità in senso progressista, ben oltre e contro l’angustia politica e la miseria morale del Sovranismo che oggi sembra vincente. Ricordo come negli anni Ottanta del secolo scorso si accese un dibattito su chi fossero gli Inglesi proprio nel momento in cui Gallesi, Scozzesi, Cornici e Irlandesi non-unionisti (fra i quali, si badi, tanti protestanti) affermavano la loro identità nel quadro di un’Europa unita e federale. Fu proprio allora che prese forza il National Front, nato negli anni 60 e rimasto fino ad allora al livello di tante pinte di birra consumate al pub sotto casa. In cosa potesse consistere il nazionalismo inglese al di là di quello rimase sempre un mistero. Tanto che, come tutti i movimenti sovranisti di ieri e di oggi, presto non altro trovò di che abbeverarsi se non alle pintacce confuse e avvelenate di un nazifascismo postmoderno re-ideologizzato. Il contrario speculare della promozione delle identità particolari, ovvero.
Il 5 novembre 1606 le guardie del Re arrestarono al seguito di una soffiata Guy/Guido Fawkes mentre faceva la guardia alle polveri che avrebbero dovuto far esplodere il Parlamento inglese e dare inizio ad una rivolta per mettere fine alla leadership monarchica della Chiesa Inglese e riportare il gregge sotto Roma. Il papista Guy Fawkes fu torturato e confessò i nomi dei suoi complici. Il 31 gennaio, mentre saliva il patibolo, tentò la fuga e cadde, rompendosi il collo. Si risparmiò così l’infamia si essere decollato, annegato e squartato. Tutti gli anni, in Inghilterra, si celebra Guy Fawkes Night con spettacoli pirotecnici.