Quindi Alexander Boris de Pfeffel Johnson ha vinto la sua scommessa. Ha puntato tutto sulla Brexit, e ce l’ha fatta. Il suo vantaggio su Jeremy Corbyn è netto, più del previsto. I laburisti arretrano decisamente rispetto al 2017. Londra conferma che la sinistra non può credere di tornare al governo con le ricette del passato: tasse, confische, nazionalizzazioni. Corbyn sapeva di arrivare secondo, ma contava di trovare alleati in Parlamento: i separatisti scozzesi, che chiedevano un nuovo referendum per l’indipendenza; e i liberaldemocratici, che invece avrebbero voluto rivotare sulla Brexit. Tutto troppo complicato. Anche il Regno Unito va a destra.
Bisogna ricordare però che Johnson è uno strano conservatore. Diplomato a Eton, laureato a Oxford, contende ai laburisti il voto popolare ed è odiato dalle élites intellettuali. Da ministro degli Esteri fece sventolare la bandiera arcobaleno sulle ambasciate britanniche nel mondo per il Gay Pride. Da premier guida un governo di destra che come ministra degli Interni ha Priti Patel, figlia di indiani emigrati dall’Uganda, come Cancelliere dello Scacchiere (ministro dell’Economia) Sajid Javid, di origine pachistana, come ministro degli Esteri Dominic Raab, figlio di un ebreo cecoslovacco sfuggito a Hitler e di una brasiliana, e come segretario del partito James Cleverly, figlio di un’ostetrica della Sierra Leone. Boris stesso ha sangue turco – il bisnonno Alì Kemal fu ministro dell’Impero ottomano –, caucasico – la bisnonna era una schiava circassa –, russo, tedesco ed è nato a New York. Guida insomma un governo globale di immigrati di seconda generazione, ma vorrebbe chiudere la Manica agli immigrati del futuro, tranne gli istruiti e gli specializzati.
A portare Londra fuori dall’Europa sarà proprio l’ex sindaco di Londra. Cresciuto a Bruxelles, dove il padre Stanley era europarlamentare, e dove lui ha esordito come giornalista, inviando al «Daily Telegraph» articoli sulla curvatura delle banane e sulle misure dei preservativi, «troppo stretti per il maschio britannico». Quella di Johnson è un’ossessione. Posta foto prese dal basso per evidenziare la sua virilità, anzi «le tacche sul mio fallocratico fallo». In effetti ha avuto una vita erotica da divo di Hollywood, «anche se sono lontano dall’obiettivo», che sarebbero mille donne. Quattro i figli ufficiali – Lara, Teodoro Apollo, Cassia, Milo –, più quelli nati fuori dai matrimoni (uno solo riconosciuto). Suo fratello Jo Johnson ha abbandonato il partito in polemica con lui. La sorella Rachel, anche lei giornalista, sostiene con affetto che Boris sia tecnicamente quasi matto. Da bambino era sordo. Guarì dopo una serie di operazioni e proclamò: «Da grande farò il re del mondo».
Dipinge abbastanza bene, si è anche ritratto in toga tipo greco dell’età di Pericle. Sulla scrivania ha appunto il busto di Pericle, su cui ha appoggiato il proprio casco da ciclista. «La cosa peggiore che ho fatto nella mia vita è stata pedalare sul marciapiede» ha avuto il coraggio di dire. È finito sotto un Tir ma non si è fatto niente. Ha investito sugli sci un bambino genovese di otto anni ma si è fermato a soccorrerlo. Va spesso a Champoluc, arriva in aereo a Torino e talora perde la pazienza all’autonoleggio. Ha scritto un libro sull’antica Roma dove alterna tesi originali a sciocchezze tipo il paragone tra i martiri cristiani e i kamikaze islamici. Assunto al «Times», è stato licenziato per aver attribuito a uno storico una frase mai pronunciata («ma era mio padrino!»). Si alza alle 5. Non paga le multe. A Baghdad rubò un portasigari dalla reggia di Saddam (poi lo consegnò a Scotland Yard). Aveva detto: «È più facile che trovino Elvis su Marte o che io mi rincarni in un’oliva piuttosto che diventi primo ministro».
Johnson partecipa insomma di quella natura istrionica e goliarda che appartiene alla tradizione Tory, a cominciare da Churchill, cui ha dedicato una biografia di discreto successo. Ha anche avuto l’ardire di accostarsi al grande Winston, duro con Hitler come lui con gli euroburocrati, tanto quanto Neville Chamberlain prima e David Cameron poi erano stati arrendevoli. In realtà, Johnson ha scommesso sulla Brexit proprio per spodestare il suo storico rivale e compagno di scuola; e ha vinto. La spregiudicatezza però a volte gli è fatale, come quando ha esposto a una brutta figura la regina Elisabetta, facendole firmare il decreto per sospendere il Parlamento.
È un fan di Berlusconi, andò anche a intervistarlo a Villa Certosa, con il suo amico Nicholas Farrel. Abbigliamento di Johnson: «Giacca beige abbottonata sopra camicia e cravatta, bermuda color kaki, calzini alle ginocchia, sandali. Pareva un esploratore ottocentesco alla ricerca delle sorgenti del Nilo». Berlusconi straparlò, sostenendo che Mussolini mandasse gli oppositori in vacanza. Johnson lo paragonò al Grande Gatsby.
Visto da vicino, Boris è arruffato, energico, coinvolgente. Probabilmente inaffidabile. Di sicuro, un leader politico moderno, o meglio postmoderno. Proprio quello che il suo rivale Jeremy Corbyn non è. Anche per questo il Regno Unito ha premiato i conservatori.