Bimbi, bestie e bambini

/ 04.10.2021
di Paolo Di Stefano

Prudenza sulla salute dei bimbi. È l’invito che ci arriva da Matteo Salvini. Il quale, prima dell’apertura delle scuole, ha dichiarato: «Il nostro obiettivo è che tutti i bimbi e tutti gli insegnanti entrino in classe». In giugno, alludendo ai vaccini, ha diffidato dal «mandare al macello (sic!) migliaia di ragazzi e di bimbi…». Al Meeting ciellino di Rimini (4-) si è augurato: «che non si arrivi a mettere mascherine obbligatorie ai bimbi di sei anni». Più in là ha ripetuto: «Sull’obbligo vaccinale ai bimbi non sarò mai d’accordo», insistendo che «quando si parla di bimbi e di ragazzi bisogna stare molto molto molto attenti». Tre volte molto. Cautela condivisibile, anche se sostenere che vaccinare i bimbi di dodici anni significa «mandarli al macello» è alquanto fuori misura (1). 

L’uso da parte di Salvini della variante affettuosa-affettiva «bimbo» al posto del più banale «bambino» è ostentatamente desueto, trattandosi di un termine che ormai è difficile trovare persino nelle traduzioni più aggiornate delle fiabe dei fratelli Grimm. È però in linea con l’afflato familiare del leader leghista e con il continuo richiamo ai suoi figli, e più in generale alla sfera degli affetti e dei sentimenti domestici. Ma dimostra anche ciò che vanno sostenendo da sempre i linguisti: i sinonimi in realtà non esistono, poiché ogni parola ha connotazioni sue proprie. Tanto più se ricondotte al contesto: e il contesto linguistico salviniano è per lo più tutt’altro che delicato («mandare al macello...»). 

Del resto, va precisato che Salvini, grazie al suo leggendario spin doctor, ha una coerenza stilistica (2) e già quando si è trattato di urlare allo scandalo di Bibbiano (sulla rete illecita di adozioni minorili nel paese amministrato dalla sinistra) ha sempre preferito parlare dei «diecimila bimbi sottratti alle famiglie». Così, sul disegno di legge Zan contro l’omo- transfobia avverte che «l’educazione di un bimbo non spetta allo Stato». Mai che dica «bambini», anzi quasi mai, perché c’è qualche eccezione. Come quando da ministro spiegava su Twitter a proposito dei migranti: «Il nostro obiettivo per il futuro è che queste persone, innanzitutto donne e bambini, non partano e non muoiano più». Oppure, di recente, nell’auspicare «corridoi umanitari dall’Afghanistan solo per donne e bambini». Bimbi i nostri figli, bambini quelli degli altri? Forse la distinzione etnico-stilistica non è sempre così netta, ma ci andiamo vicini. 

Fatto sta che mandare al macello certi modi di esprimersi non sarebbe male. Come ha fatto il Movimento grillino. Che con il nuovo leader, l’avvocato ed ex premier Giuseppe Conte (4+), recupera lo stile della Prima Repubblica: quello degli eufemismi, delle «convergenze parallele» e della «manodopera disponibile» per parlare di disoccupati. L’ossessione del professor Conte, nei talk show, è la qualifica. Tutti dottori: «Vorrei rispondere al dottor Giannini…», «Vede, dottor Floris…», «Mi rivolgo a lei, dottoressa D’Amico…», eccetera. La quale Ilaria D’Amico (5+) in un delizioso siparietto televisivo si è difesa: «Mi chiami signora D’Amico, non ho mai preso la laurea…». È la nuova-vecchia comunicazione pentastellata del dopo-vaffa. 

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole anzi d’antico, direbbe il dottor professor Giovanni Pascoli (6++). Vi ricordate? «Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza…». No, a pencolare non è il (quasi) dottor Salvini, e neanche il presidente professor dottor Conte. È l’aquilone cantato dal poeta, quello che piaceva tanto ai nostri bimbi e piacerebbe molto ai bambini afghani se quel gioco, diventato simbolo dei diritti negati, non fosse proibito dai talebani, come racconta Khaled Hosseini (dottore anche lui?) in un famoso romanzo (Il cacciatore di aquiloni, 5+).   

Il (quasi) dottor Salvini ama mandare non aquiloni ma affettuosi «bacioni» ai suoi avversari politici (e agli immigrati) proprio mentre da anni la cosiddetta Bestia, il sistema di comunicazione social della Lega, invia insulti velenosi a chiunque capiti sotto tiro. Il metodo tritacarne è stato inventato e gestito brillantemente (1-) dal suo spin doctor (eccolo là!), il dottor Luca Morisi, che adesso è coinvolto in uno scandalo legato alla droga. La stessa droga contro cui la Bestia del dottor Morisi ha condotto una campagna spesso pretestuosa e indiscriminata per anni, compresa la scenetta con il (quasi) dottor Salvini che, in campagna elettorale, a Bologna va a citofonare sotto casa di un sospetto spacciatore tunisino: «Scusi, mi dicono che lei è uno spacciatore… Posso salire?». Neanche il dottor Dante Alighieri (10) avrebbe immaginato contrappasso più efficace: occhio per occhio, dente per dente, droga per droga, l’intenzione di salire («posso salire?») con il risultato di precipitare. Tutti i bimbi mandano bacioni. E i bambini aquiloni.