«AlpTransit Kunden: Willkommen!» La capitale dà il benvenuto agli utenti della galleria di base, in vertiginosa crescita mese dopo mese. In migliaia scendono dalle carrozze provenienti dalle principali stazioni d’oltralpe, con i loro zaini, le loro giacche sportive, i loro calzettoni. Non sono eleganti e un po’ leziosi come gli italiani; i nordici badano alla praticità, utilizzano i mezzi pubblici, camminano come i loro antenati picchieri, salgono ai castelli per ammirare dall’alto la «grande Bellinzona», sempre meno città raccolta e sempre più conglomerazione. Gli edicolanti ora espongono nelle rastrelliere copie della «Luzerner Zeitung»; nei vicoli echeggiano conversazioni in dialetto svizzero-tedesco.
La «porta del Ticino» si sta intedeschendo? È probabile, ma non è la prima volta nella storia. È solo l’ultima tappa di un viaggio iniziato al principio del Cinquecento, allorché le lotte intestine e la disgregazione del Ducato di Milano permisero agli svizzeri di annettersi la chiave delle Alpi, snodo vitale sull’asse dei traffici verso i mercati italiani. A poco servirono le fortezze fatte costruire dai signori lombardi per fermare la calata dei confederati. Non per questo la cittadina turrita mutò lingua, costumi, appartenenza religiosa; il simbolo della città non è cambiato nel tempo, è sempre il biscione visconteo, a conferma di un legame con la metropoli ambrosiana rimasto vivo nel tempo.
La seconda tappa prese avvio con Bellinzona già capitale stabile del canton Ticino. Fattore trainante della trasformazione fu l’apertura della galleria del San Gottardo con il relativo esercizio. La linea ferroviaria ridisegnò la trama urbanistica della città, sorsero quartieri nuovi come quello di San Giovanni e la grande Officina adibita alla manutenzione del materiale rotabile. La compagnia che assicurava i collegamenti – la «Gotthardbahn» – era allora privata, sigla GB, in bocca dei bellinzonesi semplicemente «Gotarbann», società che aveva la sua sede a Lucerna.
Con i convogli arrivavano forestieri e mercanzie, ma anche fastidi ed incomprensioni. Molti dipendenti della compagnia erano svizzero-tedeschi, parlavano dialetto ed erano poco propensi ad integrarsi nel tessuto socio-culturale della città. Ma veder nascere chiese evangeliche, scuole tedesche, club riservati agli impiegati della GB come la «Kegelbahn» indispettì gli autoctoni, spaventati dal progressivo intedeschimento della parlata – soprattutto nelle comunicazioni ferroviarie – e delle insegne. Questa tendenza a costituire ghetti scolastici e religiosi fu motivo di lunghe controversie che giunsero anche sui banchi del Gran consiglio e di qui alle Camere federali. Il più agguerrito alfiere di questa campagna per la salvaguardia dell’italianità del capoluogo fu il glottologo Carlo Salvioni, agli occhi del quale la GB appariva come un cavallo di Troia introdotto furtivamente nel cuore della latinità per sovvertire gli equilibri.
Ora siamo arrivati alla terza tappa. Alcune ripercussioni di quest’ultima, energica accelerazione dei trasporti sono già evidenti sui commerci della città (in particolare nei giorni di mercato) e sull’attività edilizia. A lungo Bellinzona è riuscita a conservare il suo impianto tardomedievale, benché non siano mancati abbattimenti sconsiderati di molti segmenti della murata. Ora però le pressioni degli impresari costruttori si sono fatte pressanti ed insistenti; molte ville storiche sono esposte alle brame della speculazione e all’orizzonte si profila lo spettro dell’agglomerato informe e assediato dal traffico, dai rumori, dall’inquinamento, dalla congestione permanente.
Sarà compito della neo-eletta rappresentanza politica fare in modo che il volto lombardo plasmato dalla biscia viscontea non vada perduto, sacrificato sull’altare del mattone, del cemento e dell’asfalto. Recentemente (12 maggio scorso) la Scuola cantonale di commercio, istituto fondato nel 1894, ha organizzato per gli alunni della terza classe un’intensa giornata di studio sotto il titolo «Oltre i binari»: momento di riflessione sui traguardi raggiunti dalla tecnologia e dal genio civile, ma anche tentativo di prefigurare scenari urbanistici e occasioni lavorative. Coniugare sviluppo economico, ambiente, qualità di vita e retaggio storico cisalpino: sarà questo il cimento che occuperà la mente dei futuri cittadini della nuova-grande Bellinzona. Andare «oltre» senza dimenticare la strada (ferrata) fin qui percorsa.