Autorizzata, che bigiata è?

/ 12.02.2018
di Luciana Caglio

Eccoci, una volta ancora, alle prese con uno stereotipo da correggere. Proprio da Zurigo, capitale finanziaria, simbolo dell’efficienza, addirittura dello stacanovismo elvetico, arriva un segnale inatteso, che ne intacca l’immagine tradizionale di città rigorosa e super-attiva. Ed è, appunto, il supplemento di vacanza, concesso agli allievi delle medie e dei licei, in una forma del tutto inedita: due giornate, da trascorrere in libertà senza giustificazioni di sorta. In altre parole, lo sdoganamento della bigiata che diventa legale. 

Così, infatti, hanno deciso, lo scorso gennaio, i parlamentari, nell’ambito di una revisione della legge scolastica cantonale, che riproponeva un’iniziativa lanciata, nel 2016, da un gruppo di studenti, e adesso accettata, a stragrande maggioranza. Con il sostegno, non solo dei socialisti, ma di liberali, ppd, evangelici. Contrari, invece, gli udc. In questo caso, però, si trattava di una scelta che sfugge a un’etichetta di tipo ideologico, secondo le abituali categorie destra e sinistra. Come doveva poi emergere dalle reazioni di un’opinione pubblica, più che altro perplessa e persino ironica nei confronti di una misura immotivata, campata in aria. Se i destinatari, cioè i teenager zurighesi, non sono tenuti a giustificare la loro assenza, alla stessa tregua i legislatori, che l’hanno votata, non sono riusciti a giustificarne l’opportunità. Riproponendo, con effetti addirittura ambigui, il tema della scuola.

È stata una nuova occasione per ribadire, non a torto, che gli allievi godono già il privilegio di 13 settimane di ferie all’anno. E due giornate in più rappresentano un dono superfluo, che sottintende una forma di strisciante deprezzamento per la scuola e le sue regole. Che, del resto, è già in atto. Cresce l’assenteismo dei ragazzi, favorito dal comportamento sempre più diffuso di genitori che chiedono di anticipare l’inizio delle vacanze familiari rispetto al calendario scolastico: uno sgarro considerato un nuovo diritto. Senza contare, poi, l’effetto diseducativo, ad ampio raggio, dell’assenza ingiustificata che esonera dal rispetto dell’obbligo, di cui la scuola, per sua stessa definizione scuola dell’obbligo, è la depositaria.

Una scuola che, d’altro canto, proclama la volontà di formare il cittadino a titolo pieno, e dall’altro sembra disposta a cedere su punti, in apparenza minori, come l’assiduità e la puntualità.

La concessione, decisa a Zurigo, si presta, però, a una conclusione paradossale. Infatti, rendendola legale e strumentale, si toglie alla bigiata la sua ragion d’essere, il senso di colpa e di superamento della colpa, che l’ha sempre connotata, attraverso le epoche. Bigiare, marinare, to play truant, cioè come dicono gli inglesi, scansare fatiche, è sempre stato di moda. Coincide con un passaggio obbligato, nella nostra piccola storia giovanile, che poteva avere riferimenti ideologici, ma non necessariamente (alla faccia del 68). 

Non andare a scuola, cercando possibilmente di evitare lezioni ostiche e professori arcigni, esprimeva, istintivamente, la protesta, la critica, l’insofferenza nei confronti dei presunti poteri costituiti, a cominciare dalla famiglia. Si agiva sotto la spinta dell’impareggiabile piacere della disobbedienza e in compagnia della beata stupidità giovanile. Certo, era tempo sprecato, non privo, tuttavia, di un significato liberatorio, una rivalsa individualistica. Alcuni hanno saputo ricavarne, in seguito, materia di riflessione, consegnata alla scrittura. Come nel caso di Dürrenmatt e persino di Blair. Talvolta, la bigiata faceva capo a un’aspirazione anarchica, definizione persino multiuso, sfoggiata con civetteria. In proposito, vale la pena di ricordare la dichiarazione del cantautore francese, Georges Brassens: «Sono talmente anarchico che attraverso sempre sulle strisce pedonali, per non avere a che fare con la gendarmeria». Come dire, mi servo di un divieto per raggirarlo a modo mio. Ed è, in fin dei conti, la forza del divieto, da infrangere, che spiega, perché i giovani sprayatori preferiscano usare le bombolette in luoghi proibiti, piuttosto che su pareti autorizzate.