Per i commentatori dei fatti economici l’inizio dell’anno è sempre un periodo di bilanci e di previsioni. Anche se l’informazione economica necessaria non è ancora disponibile (le aziende hanno appena cominciato a calcolare le loro chiusure per il 2020) l’opinione pubblica vuole essere informata di come sono andate le cose e di come potrebbero svilupparsi nell’anno che si è appena aperto. Cominciamo dunque dai bilanci. Per la natura stessa degli avvenimenti che hanno influenzato l’evoluzione dell’economia svizzera (e anche quella di molti altri Paesi) durante nove mesi dello scorso anno, i mesi del coronavirus per intenderci, nel tirare le somme per il 2020 dobbiamo distinguere tra il settore privato e il settore pubblico.
Per quel che riguarda il settore privato possiamo dire che, nel suo insieme, se l’è cavata solo con un occhio ammaccato, nel senso che il risultato economico, pur essendo negativo, sarà migliore di quanto la maggioranza dei commentatori si aspettava verso metà anno. Calcolata sull’intero anno la recessione del prodotto interno lordo reale non dovrebbe superare il 4-4,5%. L’economia svizzera si troverà quindi nel piccolo gruppo di economie favorite le cui perdite in termini di Pil saranno inferiori al 5%. Come si può motivare questo relativo successo? La nostra economia ha forse di nuovo rivelato di essere particolarmente resistente alle crisi? Un momento, non corriamo troppo con le conclusioni. Bisogna infatti ricordare che se la recessione del 2020 sarà contenuta il merito andrà in buona parte agli aiuti e sostegni che moltissime aziende hanno ricevuto dallo Stato, dalla Confederazione in primis, ma anche dai Cantoni e dai Comuni. Gli stessi hanno consentito di limitare i disavanzi aziendali e di mantenere la disoccupazione a un livello estremamente basso. La «Svizzera SA», ossia il settore privato dell’economia svizzera – per utilizzare una formula cara a Silvio Borner, l’economista neoliberale appena scomparso – nel 2020 è stata dunque salvata dallo Stato o se volete dalla «Svizzera CH».
Non è la prima volta che succede nella storia del nostro Paese, ma è certamente la prima volta in cui l’aiuto dello Stato viene distribuito in così larga misura e a una quota così elevata dell’effettivo totale delle aziende. Sapere cosa sarebbe capitato se lo Stato non fosse intervenuto offrirà, nei prossimi mesi, un buon soggetto per uno studio di caso alle nostre scuole di management. Il problema vero, però, è che l’aiuto alle aziende, concesso durante il periodo del coronavirus, dovrà essere pagato da qualcuno. In altre parole i disavanzi che si sono potuti evitare o contenere nelle aziende del settore privato, si ritroveranno immancabilmente in quelli delle istituzioni del settore pubblico. Per essere ancora più chiari: Confederazione, Cantoni e Comuni chiuderanno il 2020 con larghi deficit e con forti aumenti dei loro debiti.
Veniamo quindi alle prospettive. Per il 2021, in uno scenario nel quale il coronavirus dovrebbe scomparire prima dell’autunno, le prospettive dell’economia svizzera sono ottime. Gli istituti di previsione anticipavano, a fine 2020, tassi di crescita del Pil reale, per il 2021, dell’ordine del 3%. Inflazione e disoccupazione dovrebbero restare sotto controllo. Per il settore pubblico si annuncia invece un anno finanziariamente difficile. I preventivi di Confederazione e Cantoni, approvati negli ultimi mesi del 2020, indicano anche per il 2021 disavanzi di centinaia di milioni. Per fare un solo esempio, il disavanzo del conto di finanziamento della Confederazione sarà superiore al miliardo di franchi. Se rapportata al totale della spesa non si tratta di una grande cifra, ma basterà per invertire la tendenza, in atto da diversi anni, alla diminuzione del debito pubblico della Confederazione. Nel 2021 il debito della stessa ritornerà a superare i 100 miliardi di franchi. Finanziariamente parlando lo stress sarà proporzionalmente ancora maggiore nei Cantoni e in molti Comuni. È facile di conseguenza prevedere che, per quel che riguarda le finanze dello Stato, ci aspettano almeno un paio d’anni di austerità e, purtroppo, anche aumenti del carico fiscale.