Scrivo nel giorno in cui, per tradizione, si festeggia la scoperta dell’America. A scuola si disegnavano le caravelle e si cantava «Cristoforo Colombo, grande italiano, con tre caravelle intrepido salpò», mentre mia sorella piccola fino a un’età non proprio infantile insisteva nel cantare «intrepido sarpon». Misteri della psiche e della beata libertà dei bambini. Ma quest’anno c’è poco da festeggiare: negli Stati Uniti il presidente si è appropriato della leggendaria figura, imponendo il ripristino del Columbus’ Day, la festosa e un po’ mafiosa parata italoamericana che era stata abolita in nome delle vittime indigene della scoperta delle Americhe.
È un momento così, gli Stati del Sud hanno abbattuto le statue commemorative degli eroi Sudisti, come se solo i Nordisti fossero buoni e contrari alla schiavitù. Si sa che lo stesso Lincoln la abolì, dichiarando contestualmente che non si doveva mettere in dubbio la superiorità della razza bianca su quella nera. Il «New Yorker», poi, ha detto che l’Italia dovrebbe eliminare le troppe tracce del Fascismo. Sarebbe un po’ laborioso, ma perché no: la Stazione Centrale di Milano è anche brutta, il Palazzo di Giustizia ha i corridoi stretti, si potrebbero abbattere. Vedo più difficile riportare l’acqua nelle paludi pontine, ma con un sistema di autopompe forse si potrebbe ricreare anche l’ambiente favorevole allo sviluppo delle zanzare anofeli, anch’esse creature di Dio, come la farfalletta della vispa Teresa. Perché per il resto fatico a trovare busti di Mussolini in giro per il Paese, escluso l’emporio clandestino di Predappio, dove è nato ed è sepolto, vegliato con costanza degna di miglior causa da giovanotti nostalgici. Clandestino, l’emporio dei ricordi del Ventennio, perché come è noto in Italia è la legge a vietare qualsiasi forma di «apologia del fascismo». Dunque da varie parti si chiede la cancellazione totale del passato, la damnatio memoriae che a Roma colpiva spesso gli imperatori appena morti, o i generali traditori, o gli artisti poco graditi.
Questo significa tra le altre due cose: che si ritiene la presente come l’epoca tra tutte migliore e che la si considera indipendente da tutto ciò che l’ha preceduta. Due errori gravi, che gravissime conseguenze possono portare. Il primo, oltre alla sferzata di superficiale ottimismo, lede la capacità di autocritica non tanto del singolo cittadino, quanto piuttosto dei governi, certi di avere sempre scelto un meglio quasi inevitabile, necessario. Il secondo errore porta non solo a non studiare più la storia, ma anche a non volerne trarre degli insegnamenti.
È chiaro che per noi oggi sia profondamente sbagliato imprigionare, derubare, uccidere delle popolazioni praticamente disarmate, come lo è possedere schiavi, che tra l’altro tali sarebbero solo in virtù del colore della pelle, e in genere non vediamo nemmeno di buon occhio l’alleanza coi Nazisti, le leggi razziali, la guerra di conquista. Ma, innanzitutto, se siamo così fortunati da non dover assistere a queste violazioni della libertà e dei diritti dell’uomo, è anche grazie a chi le ha combattute. Ci furono dei Gesuiti che denunciarono i soprusi nelle Americhe, alcuni Nordisti che non combatterono solo il potere dei latifondisti del Sud, ma anche la schiavitù. Poi sul contributo degli Alleati e sulla Resistenza non occorre dir niente, cinema e letteratura ne parlano in continuazione. Dovrei apprezzarlo, no? Finalmente un aspetto della Storia che non è dimenticato, una produzione artistica costruita proprio «per non dimenticare», come si dice correttamente. Non mi basta, nemmeno in questo caso posso essere soddisfatta.
Espongo le mie ragioni: temo che tutto questo parlare solo di un preciso momento storico in abbastanza precisi punti geografici, oltre ad avere il merito, che riconosco assolutamente, di non far dimenticare gli orrori, tutto questo abbia anche il demerito di semplificare la storia e nascondere il presente. Se il «male assoluto» è tutto in quei dodici anni di nazismo, ventitré di fascismo, orrendi per carità, gli anni successivi e il nostro presente dovrebbero essere se non paradisiaci almeno liberi dal Male con la maiuscola. E questo mi sembra oggettivamente difficile da credere. Non riesco a vedere la positività di Hiroshima, dei pogrom di Stalin, delle torture e morti inflitte da Pinochet e Pol Pot, per dire i primi nomi che vengono alla mente. Non che qualcuno non ci abbia provato, inconsapevolmente influenzato dall’hegelismo che vuole necessario ogni momento del farsi dello Spirito, dal marxismo che applica tale necessità al raggiungimento della dittatura del proletariato (a sua volta solo mezzo per il raggiungimento della felicità di essere tutti uguali e senza padroni). Ma io non gli ho creduto. Come non credo a tutti i monumenti che in terra ispanica e portoghese inneggiano a Cristobal Colón, nato a Barcellona. Non era un «grande italiano» che con tre caravelle intrepido salpò?