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Asilo Nido, i dubbi di una nonna

/ 06.09.2021
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Professoressa Silvia Vegetti Finzi,
da alcune settimane Chiara, la mia nipotina di quasi un anno, ha iniziato ad andare all’asilo Nido. Tutto procede bene, a detta dei suoi genitori. Ma io ora non ne sono più così convinta.
È infatti capitato qualche giorno fa che sia stata io a portarla al Nido. Mentalmente ero pronta a vederla sorridere a qualcuno che la prendesse dolcemente in braccio con un sorriso rassicurante e calmo; le avrei detto guardandola negli occhi che ora sarebbe stata lì con altri bimbi per un po’ e poi sarei tornata, dopo, a riprenderla. Lei avrebbe reagito come è solita fare con gli adulti amici o famigliari: stabilisce lentamente con lo sguardo il contatto, poi si lascia volentieri prendere in braccio e fa ciao con la manina. In questo quadretto sorridono tutti. In altre parole: lei sa cos’è LA FIDUCIA, per fortuna.
E invece per me quella mattina è stata un’esperienza inaspettatamente traumatica, poiché la professionista che ci ha accolte me l’ha tolta dalle braccia con uno sbrigativo «diciamo ciao ciao alla nonna!», ed è sparita dietro una porta. Una frazione di secondo prima che la porta si richiudesse ho avuto il tempo di cogliere lo sguardo disorientato della mia nipotina: stava chiaramente per piangere. Mi rimprovero per non aver d’istinto ripreso la bimba con un «no grazie, non vi permetto di non rispettare i suoi e i miei tempi per salutare». Risultato: ne ho parlato con i suoi genitori, e loro rimangono fermamente convinti di aver fatto un’ottima scelta e dunque il problema che ho sollevato è soltanto nella mia mente. Mi domando: quali criteri abbiamo per farci «raccontare» da un bambino piccolo, che emozioni realmente stia provando e se, banalmente, stia davvero bene come viene riferito dal personale di un nido d’infanzia? Il dubbio è che sia stato proprio il mio dispiacere a provocare un passaggio inconscio di emozioni fra la piccola e me. Grazie cara Professoressa /
Maria Elena

Cara Maria Elena,
sensibilizzata dalla sua lettera, ho approfittato di un breve soggiorno nel Canton Ticino per svolgere una piccola inchiesta tra i genitori e i nonni dei bambini che hanno recentemente fruito dell’asilo Nido o lo stanno frequentando tuttora. Naturalmente, com’era da aspettarsi, è apparsa una situazione molto variegata. La maggior parte delle persone contattate si dice soddisfatta del servizio ma vi sono anche commenti critici che vale la pena di ascoltare perché, vi fosse anche un solo piccino che soffre di una cattiva accoglienza al Nido, sarebbe comunque un caso grave. Il dolore dei bambini, creature fragili e indifese, è sempre inaccettabile. Non possiamo tradire la fiducia che nutrono per noi, il credito illimitato che ci offrono. La psicoanalisi ha insegnato che le prime esperienze sono fondamentali per sostenere la stima di sé e la fiducia nel mondo. Purtroppo viviamo nella «società della fretta» dove, rispetto alla riflessione e all’ascolto, c’è sempre qualche cosa di più urgente da fare. Con il mio ultimo libro, L’ospite più atteso, ho cercato di sensibilizzare le giovani mamme a sincronizzarsi sin dalla gravidanza col figlio che portano dentro di sé, spesso più nella pancia che nella mente. Ma temo che nella nostra frenetica esistenza le cose più importanti avvengano mentre siamo intenti a fare altro. Dopo, quando il piccino è nato, le cure del corpo (igiene, alimentazione, sonno ed eventuali terapie) rischiano di soverchiare ogni altro interesse.

Ho avuto modo di osservare, in più occasioni, che le richieste delle mamme si concentrano sull’alimentazione del bambino, tanto che le operatrici del Nido sono solite congedarle con l’assicurazione: «stia tranquilla, oggi suo figlio/a ha mangiato». Ma in questa prima esperienza extradomestica c’è ben altro: sono in gioco sentimenti di base quali la fiducia e la speranza. Se manca la sicurezza di essere compresi, la relazione si raggela e la comunicazione si blocca. Non pochi bambini, sigillati in se stessi, tardano a parlare, stentano ad abbandonarsi al sonno, si agitano senza sapersi concentrare. Siamo tutti un po’ «analfabeti» rispetto al linguaggio delle emozioni, eppure il corpo parla, lo sguardo esprime, i gesti dicono tante cose a chi sa osservare. Ciò nonostante non si disperi, cara nonna, i bambini hanno risorse insperate e spesso riescono da soli a superare le situazioni più difficili. Anche i più piccoli sanno essere indulgenti con i genitori se avvertono di essere sostanzialmente amati e protetti. La natura li ha attrezzati a contare su se stessi. In ogni caso, rispetto alla gestione del Nido, è importante che i genitori si sentano uniti e solidali condividendo preoccupazioni e decisioni. Non tutti sono adatti a occuparsi dei più piccoli per cui, oltre al titolo di studio degli operatori, occorre valutare la sensibilità, la disponibilità, la capacità di provare empatia (mettersi nei panni dell’altro) nei confronti di chi, ancor privo di parola, non ha altri diritti di quelli che sapremo concedergli.