Ascoltare l’oceano

/ 20.06.2022
di Claudio Visentin

L’ultimo numero di una popolare guida turistica è dedicato… all’oceano (The Passenger, Oceano, pp. 192, € 19,50). Curioso ma utile. Per cominciare colma una lacuna nelle nostre conoscenze: abbiamo mappe infinitamente più dettagliate della superficie lunare che dei fondali oceanici. E poi, come ogni guida, anche questa vuole ispirare viaggi futuri.

L’oceano copre il 70 per cento della superficie del nostro pianeta tanto che, considerate da un diverso punto di vista, le masse terrestri appaiono come isole sparse nella distesa delle acque. Oltretutto questo terzo scarso di mondo all’asciutto è ulteriormente diviso in circa duecento Stati che, come in questi giorni, si contendono con le armi lembi di territorio. Vista dall’oceano, la guerra è un’attività davvero stravagante.

Ma sugli oceani non succede mai nulla, direte voi, a parte il regolare succedersi delle onde. Tanto per cominciare le onde non sono affatto banali. Secondo leggi fisiche ancora piuttosto misteriose si sollevano, cambiano colore, si ripiegano su sé stesse; e una piccola increspatura in mezzo al nulla può trasformarsi in un maroso che si abbatte sulla costa a migliaia di miglia di distanza, con forza distruttiva.

Ovunque siate, il novanta per cento dei prodotti di uso quotidiano intorno a voi è stato trasportato per mare, su gigantesche navi cargo: gli apparecchi elettronici (Cina, Giappone), i vestiti (Pakistan, Sri Lanka), così come il caffè o la frutta (Sud America)… Per garantire questi servizi quasi due milioni di persone lavorano sulle navi mercantili ma sono solo una parte del popolo del mare; ne fanno parte anche pescatori (legali e di frodo), lavoratori offshore sulle piattaforme petrolifere (un mestiere ingrato ma ben pagato), oltre a un numero insospettabile di vagabondi del mare, gente che ha mollato tutto, casa e carriera, per una vita in barca a vela, semplice e avventurosa.

L’oceano nasconde pericoli. Nel 2021 ancora centocinquanta navi sono state attaccate dai pirati e, nonostante la navigazione satellitare e dettagliatissime previsioni meteo, nell’ultimo decennio oltre ottocento imbarcazioni sono andate a fondo.

Lontano dai nostri occhi e dai nostri pensieri, l’oceano si misura con difficoltà crescenti. La plastica è ovunque. La pesca eccessiva mette a rischio l’esistenza di numerose comunità costiere; secondo la FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) circa il novanta per cento degli stock ittici marini del mondo sono completamente sfruttati, sovrasfruttati o esauriti.

L’oceano è fondamentale per combattere il cambiamento climatico, perché regola il clima e immagazzina grandi quantità di carbonio. Ma da qualche tempo, nelle sue parti meno profonde, l’acqua sta diventando sempre più calda e acida. Questo danneggia soprattutto le barriere coralline, che sono l’habitat di un quarto di tutte le specie marine.

Molto si deciderà nei prossimi dieci anni, non a caso proclamati Decennio del mare dall’Unesco. Ma prima di ogni azione serve una consapevolezza nuova. Per questo un viaggio, reale o immaginario, sulle distese liquide dell’oceano è forse davvero necessario, nella prospettiva di una conversione profonda verso un mondo più sostenibile.

Il simbolo di questa nuova intesa tra l’uomo e il mare potrebbero essere le balene. Per secoli sono state cacciate con feroce determinazione per il prezioso olio ricavato dal loro grasso. Ma questi giganteschi animali sono molto più di una fonte di materia prima. Nuovi studi ne sottolineano l’intelligenza (seppure di un tipo diverso dalla nostra), la capacità di provare emozioni, di stabilire e mantenere legami sociali. In alcuni casi le balene hanno dato prova di empatia, di comprensione dei sentimenti altrui. Inoltre negli abissi oscuri la vista è inutile, mentre il suono viaggia cinque volte più veloce rispetto all’aria. Per questo le balene hanno un cervello predisposto all’ascolto: niente rimane nascosto al loro potente sonar e grazie all’eco sono in grado di vedere anche attraverso gli oggetti solidi, di distinguere le strutture interne.

Imitare le balene e sviluppare una nuova capacità di ascolto degli oceani: forse è proprio questo che ci manca.