Sia detto sottovoce per non urtare la diffusa suscettibilità ambientalista, ma l’estate calda e prolungata ha anche i suoi vantaggi. Se ne sono resi conto i nostri concittadini d’oltre Gottardo che, per via del persistente bel tempo, hanno cambiato abitudini adeguandosi a un modello mediterraneo, sia pure riveduto e corretto. Nelle maggiori città, a cominciare da Zurigo, dove il fenomeno è più evidente, si tende a star fuori, a far tardi la sera, e persino la notte. Quindi, bar e ristoranti si sono attrezzati: invadono marciapiedi e piazze, con tavolini, sedie, gazebo e ombrelloni, destinati a clienti dalle esigenze, sino a una decina d’anni fa imprevedibili, del tipo una pizza alle 22. Proprio la pizza è diventata il simbolo più rappresentativo, appunto, della «mediterraneizzazione»: parola quasi impronunciabile, con cui in gergo sociologico si definisce un cambiamento, che non è soltanto questione di sapori. Certo, negli ultimi decenni, gli svizzero-tedeschi hanno imparato ad apprezzare espresso, spaghetti al dente, mozzarella e rucola, e via enumerando le proposte di una gastronomia, del resto gestita prevalentemente da immigrati italiani e anche ticinesi.
Ora, però, la conversione ha assunto connotati ben più impegnativi. Non concerne i palati, passati dal burro all’olio d’oliva, ma sta toccando comportamenti e sentimenti, ispirati a una diversa idea di quotidianità, addirittura una filosofia di vita. Da affrontare in modo libero, fantasioso, aperto, persino, all’improvvisazione. Come avviene nei paesi meridionali: dalla Spagna della movida al Sud Italia del dolce far niente, alla Grecia del sirtaki, per definizione luoghi di vacanza e, adesso, promossi a punti di riferimento per il trapianto alle nostre latitudini. È in atto, sul piano nazionale, una sorta di omologazione agli esempi mediterranei, considerati stimolanti iniezioni di spensieratezza e allegria. Il clima mite sembra consentirlo. Tuttavia, c’è un altro clima, d’ordine razionale e culturale, che induce a interrogarsi sulla reale portata di questo trasferimento: l’aria mediterranea è merce esportabile? Non rischia di deteriorarsi a contatto con un ambiente tanto diverso, scadendo a scimmiottatura? In parole povere, Zurigo non è Ibiza. E, inevitabilmente, il trasloco sulle rive della Limmat di nuovi ritmi quotidiani e forme di divertimento non è stato indolore. Le aperture prolungate degli esercizi pubblici, dalle 21 alle 24, per i bar, e dalle 24 alle 2, per i club notturni, concesse dalle autorità, hanno provocato il disappunto di cittadini, infastiditi dai rumori e, soprattutto, dalla perdita di una prerogativa, considerata un vanto: la tranquillità e persino la noia tipicamente svizzere.
Con ciò, la voglia di Mediterraneo ha radici storiche lontane. È il Drang nach Süden, che animò Goethe, in viaggio verso «il paese dove fioriscono i limoni» e spinse Heinrich Schliemann a scoprire i tesori dell’antica Grecia, e che continua a manifestarsi. Magari in forme a volte apparentemente assurde. Come il movimento, nato negli anni 80, intitolato Spreng die Alpen: abbatti le Alpi per godere la vista del Mediterraneo. Da intendere, ovviamente, un incentivo a favore dei trafori che abbreviano la via verso il sud, meta privilegiata nell’immaginario collettivo elvetico.
Di cui il Ticino rappresenta un’anticipazione, grazie a un paesaggio prealpino, di valli e di laghi, dove fioriscono i castagni e anche le palme. Ma proprio queste ultime dovevano diventare un soggetto sfruttato dalla pubblicità turistica, dove il Mediterraneo rimane un punto di forza. Tanto che ci si è impegnati, anche da noi, per accentuarne la presenza e ringiovanire la propria identità. È all’insegna del giovanilismo che Lugano ha attribuito l’aggettivo «marittima» a un tratto di riva di lago: operazione, in fondo, illusoria. Ma di illusioni si continua ad avere bisogno.