Aperti alla condivisione

/ 05.09.2022
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Dottoressa Vegetti Finzi,
da anni seguo la sua rubrica con interesse. Ho un’ammirazione particolare per la sua sensibilità e capacità di dare delle risposte mai banali, prive di moralismo e colme di umanità. Non ho la capacità di esporLe per iscritto il mio problema; per questa ragione Le chiedo gentilmente se, quando è in Ticino e compatibilmente con i suoi impegni, potrebbe darmi l’opportunità di incontrarla personalmente una volta, naturalmente a pagamento. Se questo fosse possibile a Lei decidere dove e quando. Le sarei particolarmente grato! La saluto Cordialmente e La ringrazio per la comprensione. /
Un lettore

Caro lettore,
innanzitutto grazie del suo apprezzamento e di una richiesta d’incontro che esprime l’empatia che può sorgere dalla semplice lettura di un testo. Si vede che, oltre alle riposte argomentate che cerco di formulare, riesco talvolta a esprimere il coinvolgimento affettivo che mi anima. Vorrei che la Stanza del dialogo non fosse semplicemente uno scambio intellettuale ma un’occasione di interazione emotiva perché solo il calore dei sentimenti e i colori delle emozioni rendono la comunicazione incisiva e trasformativa. Un incontro diretto, a «tu per tu», tradirebbe invece lo spirito di questa Rubrica che si basa proprio sulla scrittura, su uno scambio epistolare aperto alla condivisione e alla riflessione collettiva.

Lei sostiene di non aver la capacità di esporre per iscritto il suo problema. Ma non si tratta di una prestazione letteraria! La sua lettera, anche se breve, rivela una capacità di espressione pertinente ed efficace. Non conosco il problema che la turba ma, qualunque esso sia, si gioverà certamente dall’essere pensato e comunicato in forma epistolare.

Anche nelle terapie psicoanalitiche l’agente della cura è il paziente. Lo psicologo/a si limita, come Virgilio rispetto a Dante, a fargli da guida, a indicargli la retta via. Una via che lei può imboccare affrontando la sua autobiografia. Come ripeto spesso, la nostra vita non è tanto quella che abbiamo vissuta quanto quella che ci siamo raccontata. Noi siamo la nostra narrazione ma spesso il narcisismo ci induce a distorcere i fatti negando le nostre responsabilità e minimizzando i nostri sbagli.

Il coraggio di affrontare la pagina bianca e la necessità, quando si scrive, di selezionare le parole e di ordinarle nelle coordinate dello spazio e del tempo, aiuta a prendere la distanza dall’Io e a riconoscere le ragioni degli altri. Man mano che il racconto procede, gli avvenimenti rivelano la loro connessione e la propria biografia prende senso inserendosi nella storia della famiglia e della società. L’esperienza, costituita da oltre cent’anni di psicoanalisi, dimostra che talvolta i traumi di cui soffriamo sono l’eco di vicende accadute nelle generazioni precedenti di cui abbiamo perso il ricordo ma che permangono nella memoria profonda dell’inconscio. Anche se razionalmente irrecuperabili, sono tuttavia affrontabili e curabili attraverso l’espressione e la condivisione delle emozioni che le accompagnano.

Pertanto le nuove terapie psicoanalitiche si avvalgono di tutte le forme di espressione. Oltre a quelle verbali, che rimangono predominanti, si utilizzano la scrittura, il disegno, la pittura, la musica, la fotografia, i filmati, i fumetti. La verità, anche se parziale, provoca sempre effetti positivi facendoci scoprire risorse e possibilità insperate. Il ricorso all’autobiografia si dimostra particolarmente importante per gli adolescenti perché consente a ciascuno di costruire la propria identità sottraendosi agli stereotipi e affrancandosi dalle proiezioni e dalle attese dei genitori… nonché dalle suggestioni dei social.

Quanto a lei, caro lettore, trovi la forza di raccontarci il suo problema, in forma anonima naturalmente, e vedrà che il nodo che la stringe inizierà a sciogliersi per il solo fatto di essere espresso e condiviso.