Antisemitismo: quando la storia si ripete

/ 11.01.2021
di Cesare Poppi

Con la diaspora seguita alla distruzione del Tempio e di Gerusalemme che concluse la Prima guerra giudaica nel 70 d. C., molti ebrei si trasferirono nella penisola iberica che divenne sede della più grande comunità di ebrei – nella maggior parte sefarditi – del Continente europeo. Toledo, in particolare, divenne la città con la più grande e ricca comunità ebraica fino all’espulsione decretata da Ferdinando ed Isabella nel 1492. La presenza ebraica nella penisola iberica è peraltro documentata da tempi assai remoti. In quanto cittadini romani godevano degli stessi diritti di ogni altro cittadino rispettoso della legge. Almeno fino alla caduta dell’Impero e fino alla sussunzione di molte prerogative dell’amministrazione civile da pare della Chiesa le cose rimasero più o meno tranquille. Cominciarono lentamente a cambiare con episodici decreti e locali regolamenti fino alla messa a punto delle nuove legislazioni volute dai conquistatori «barbari», spesso negoziate, se non addirittura istigate, dalle autorità ecclesiastiche che egemonizzavano i ranghi dell’amministrazione.

Una svolta decisiva in questo senso è rappresentata dal dodicesimo Concilio di Toledo che si svolse fra il 9 ed il 27 gennaio del 681 su richiesta di Re Erwig dei Visigoti. Forse meglio qualificato come sinodo, in quanto di rilevanza regionale piuttosto che ecumenica, è passato alla storia perché segnò un passo importante per la maturazione all’interno della cristianità ormai dominante di quell’antisemitismo che accompagnerà la storia del cosiddetto Occidente nei secoli a venire. I ventotto articoli di legge che Erwig riuscì a fare approvare in sole tre settimane sono un compendio esemplare delle restrizioni alla libertà a tutti i livelli che rappresenteranno l’arsenale per colpire la minoranza da quel fatidico gennaio in poi. L’occasione storica – ironia della sorte – fu fornita dal passaggio dell’intera casata reale dalla fede ariana a quella cattolica. L’Arianesimo assegnava a Cristo una natura divina inferiore a quella del Padre ed era in questo più vicino alla teologia giudaica che ammetteva un solo Dio di contro alla dottrina della consustanzialità trinitaria dei cattolici e dei cattolici occidentali romani in particolare. Questioni di lana caprina – pur se teologiche – si potrebbe dire. Ma questi erano i tempi nei quali le questioni di ordine teologico – che sfociavano in accuse di eresia ogni tre per quattro – scaldavano gli animi al punto che il dibattito sulla «vera» natura della Trinità faceva scoppiare risse e tafferugli in quello Speakers’ Corner ante litteram che era il mercato di Costantinopoli.

E così, da un giorno all’altro, gli ebrei di Toledo si trovarono a non poter contrarre matrimoni misti coi cristiani, a non poter circoncidere i figli di matrimoni misti già in atto, a non potersi riconvertire alla religione dei padri una volta divenuti conversos e avanti di questo passo. Le pene per chi non rispettava le regole? La confisca dei beni, e questo la dice lunga sulle ragioni reali che venivano a colpire una delle sezioni più ricche della società del tempo.

Il resto è storia «storieggiata» di misure legislative che accompagnano i pregiudizi e i pregiudizi cresciuti in misura tale da obbligare le autorità (e quelle ecclesiastiche in primis occorre dire ad onor del vero rispetto ai più sbrigativi «laici») a mettersi una mano sulla coscienza piuttosto che sulla borsa e cercare di mitigare le conseguenze di legislazioni criminali. Ma intanto i buoi erano scappati e i secoli dopo di Toledo sono punteggiati a scadenza quasi calendariale, a ritmo sconcertante e quasi noioso, da esplosioni di furia antisemita che vede gli ebrei divenire il capro espiatorio delle disgrazie di tutti.

L’esistenza di una comunità ebraica è documentata a Basilea fin dal tardo Duecento. Con l’avanzare da Oriente della pandemia di peste nera nel 1348, una dopo l’altra le città dell’Europa orientale avevano visto esplodere la furia antisemita che vedeva negli ebrei gli avvelenatori dei pozzi che diffondevano il morbo. A Basilea tutto cominciò con la distruzione del cimitero ebraico. Molti ebrei fuggirono dalla città mentre le autorità cittadine, convocate dal vescovo, cercavano di arginare la furia popolare. Fu tutto inutile. Il 9 gennaio 1349 una settantina di ebrei furono trascinati dai loro nascondigli e chiusi dentro una capanna sul fiume alla quale venne dato fuoco. Nessuno sopravvisse. I bambini furono risparmiati: affidati ad istituzioni caritatevoli crebbero cristiani. Pogrom con la stessa motivazione si estesero a Friburgo il 30 gennaio e a Strasburgo il 14 febbraio: misura preventiva, si direbbe oggi, poiché accadde ancor prima della diffusione della pandemia. Temendo un ripetersi dei tumulti, le autorità di Basilea decretarono allora l’espulsione degli ebrei dalla città per almeno 200 anni. Dopo timidi tentativi di rientro, la presenza ebraica a Basilea non sarà più documentata fino al 1805.