«Mamma ho l’ansia!». È una Parola dei figli che gli Gen Z ci consegnano sempre più di frequente. Il rischio è che noi adulti – che un po’ ci siamo dimenticati come ci sentivamo alla loro età, un po’ siamo concentrati su questioni che consideriamo più serie, un po’ pensiamo che sia una parola detta tanto per dire perché i problemi sono altri e solo nostri – non le diamo il giusto peso. Sbagliato.
Per lavoro ho di recente moderato delle lectio magistralis della preside del liceo scientifico Einstein di Milano Alessandra Condito e del presidente dell’Associazione Laboratorio Adolescenza Maurizio Tucci. E sulla mia scrivania c’è ormai una pila di studi sul malessere emotivo degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni: uno della onlus Soleterre dello psicoterapeuta Damiano Rizzi, un altro condotto da scienziati di Unisanté per conto dell’Unicef (con il sostegno della Z Zurich Foundation e di Zurich Svizzera), un altro ancora di Pro Juventute. L’ultimo è del 27 aprile: i dati raccolti su un campione di 800 studenti delle superiori con un sondaggio promosso dal Sindacato indipendente degli studenti e apprendisti (Sisa) tra i mesi di gennaio e marzo ci dicono che 1/3 della popolazione studentesca riporta la presenza di sintomi depressivi dal grave al molto grave. La lista potrebbe continuare. C’è poi l’esperienza diretta, scandita dagli sfoghi delle mie amiche con figli 14enni e anche dai racconti di mia figlia della stessa età.
Dal report di Soleterre emerge che il 30,7% degli intervistati si sente giù più della metà dei giorni; da quello dell’Unicef che il 37% accusa sintomi di disturbi d’ansia e/o depressione, uno su tre dichiara di avere poca autostima e il 29% non parla con nessuno dei propri problemi; le cifre di Pro Juventute mostrano che il numero di «contatti urgenti» al 147.ch nel 2020 è aumentato di quasi un terzo rispetto all’anno precedente. Insomma, i numeri possono leggermente cambiare ma tutto conduce nella stessa direzione. Con adolescenti che hanno anche problemi ad addormentarsi e a dormire bene (e la conseguenza è che poi sono stanchi e demotivati).
Così Le parole dei figli ci consegnano un quadro che da genitori non possiamo ignorare. Oggi più che mai, perché alle difficoltà che l’adolescenza porta con sé in quanto tale si aggiungono gli effetti della pandemia. Ragioniamoci su: a 13-14 anni ci sono tutti gli scombussolamenti del corpo che cambia, i primi impulsi sessuali, la voglia di piacere e la paura di non essere abbastanza. È il momento in cui giustamente si rivendicano le prime libertà, il volersela cavare per dimostrare di essere in grado di farcela senza mamma e papà: ma allo stesso tempo c’è l’insicurezza di chiunque è chiamato a muovere i primi passi da solo. Spesso si aggiungono le aspettative narcisistiche dei genitori da soddisfare, che per forza di cose vanno strette a chi è impegnato a scoprire la sua strada. Il desiderio è di avere una propria personalità, ma non sempre è chiaro quale sia, poiché tutto è in movimento.
E il Covid ha minato la socialità, modificato il rapporto con gli amici considerati gli unici in grado di capire quel che passa per la testa, fatto aumentare la vita digitale. C’è chi in questo contesto ha dovuto fare i conti anche con i conflitti familiari resi più duri dal lockdown. Con l’invasione della Russia in Ucraina si aggiunge una guerra nel cuore dell’Europa: immagini choc, il timore del nucleare.
È evidente che la resilienza degli adolescenti è messa a dura prova. Sono gli stessi ragazzi che più volte su queste colonne abbiamo incensato per la loro sensibilità, l’attenzione ai diritti civili, la serietà nell’autolimitare le loro uscite per proteggere gli adulti per i quali il Covid può avere conseguenze più gravi, la capacità di reinventarsi le giornate chiusi in casa. Dopodiché dobbiamo anche capire che tutto questo lascia delle ferite. Ecco, almeno evitiamo loro quella di non farli sentire capiti: «Voi adulti manco ve ne rendete conto!», denunciano i giovani del Sisa. Un’accusa che non possiamo ignorare. Non vuol dire compatirli, ma cercare di essere un po’ empatici. Ben sapendo che qualsiasi cosa facciamo rischia di essere comunque male interpretata e considerata sbagliata. Ma almeno proviamoci!