Il compleanno lo posso capire: ogni volta che la terra, girando attorno al sole, ritorna nel punto in cui era quando sono nato, lo si può festeggiare con un certo grado di legittimità. Il tempo per ciascuno è incominciato lì. Se la terra fosse una carrozza, si è saliti su in quel punto; se fosse un treno e l’orbita fosse la ferrovia, lì in quel punto c’è la stazione da cui uno è partito; era lì ad aspettare, il treno passa, non si ferma, bisogna saltarci sopra, si viene al mondo sempre con qualche rischio, la terra viaggia a circa centomila chilometri all’ora, se l’anima, come dice Platone, scende in forma di stella cadente, bisogna che l’incrocio sia preciso, e quando uno salta sul treno in corsa, ecco che anche l’anima in quel punto gli cade dentro, se no uno resta uno scimunito. Per cui ogni volta che il treno torna a passare da quella stazione, e ci ripassa alla stessa data di ogni anno, uno si affaccia al finestrino e giubila, d’avercela fatta, centomila all’ora non è uno scherzo, cerca di riconoscere la stazioncina, il paesaggio, s’affaccia, ma la scritta della stazioncina è già volata via, i corpi celesti hanno sempre una fretta vertiginosa, al massimo vede che il sole in quel tratto copre una costellazione dello zodiaco, è la mia! grida, nel senso che era nella stessa posizione quando è saltato su, e gli altri dello scompartimento alzano i calici, è un coro di auguri, mentre il treno terrestre continua la sua pazza corsa; bisognerebbe festeggiare ad un’ora precisa, quando passa la solitaria stazioncina, ma a centomila all’ora non la si vede neanche, quindi con la solita umana approssimazione, ci si da un tempo simbolico di 24 ore, cioè si festeggia in quel tratto di ferrovia di 2 milioni e 400 mila chilometri. Ecco, la festa del compleanno è comprensibile.
Quello che non capisco sono i centenari: passano cento anni da un certo fatto, che so? la prima edizione di un libro, la morte di un poeta, e si festeggia. Perché cento? mi chiedo, abbiamo la mistica del sistema decimale. Che però a ben pensarci un fondamento ce l’ha, non astronomico ma fisiologico. Cento è 10 volte 10, cioè con le mani contiamo le unità e con le dita dei piedi le decine, arrivati a cento abbiamo esaurito tutte le dita, e quindi l’umanità ha pensato che la natura, dandoci le dita come pallottoliere, abbia fissato il 100 come numero massimo, e quindi è il momento di organizzare una celebrazione. Vale qualcosa anche la decina, cioè il decennale, perché si esauriscono le due mani, ma vale poco, al massimo una conferenza, un breve festeggiamento in una sala di periferia. Il cinquantenario è già più quotato, ma non come il centenario, vale la metà, per il fatto che ci si limita a un piede, è un centenario monco, e infatti i puristi lo disdegnano, se si organizza un convegno si chiamano studiosi di secondo piano, due di questi studiosi ne valgono uno da centenario; i cinquantenari sono fatti di schiappe, fossero anche 200 i relatori, non si arriverà mai al valore del centenario. I cinquantenari sono quindi da evitare, si fa solo del danno all’autore celebrato, lo si sminuisce, e la ragione è che nel conteggio ci si limita a un piede, quando madre natura ce ne ha dati due, non solo a noi umani ma già agli anfibi, ai batraci, ai rettili. È la natura che già pensava in prospettiva ai centenari con celebrazioni e convegni quando siamo emersi dall’acqua e abbiamo incominciato la respirazione aerobica. Dev’essere questo fondamento naturale che da al centenario la sua importanza.
Chi è impaziente e celebri ad esempio i 97, i 98 non troverà nessuno disposto, o troverà studiosi di ultima categoria, disposti a tutto pur di apparire, gente più adatta alla zappa e alla carriola che allo studio, degli analfabeti o degli imbroglioni. Stessa cosa per chi celebra i 103 anni, o i 121, anche se niente lo vieterebbe. Sarebbe un anniversario innaturale. I multipli di 100 sono ammessi, ma sono deboli, 300 anni, 400 anni non significano molto; 500 è un po’ meglio; ma a ben pensarci è una mostruosità, come uno che nasca con un terzo piede. Sì, si può celebrare, con le dovute cautele. Dopo di che tutto si perde nell’innumerabile. I mille anni non sono più sentiti, è una sbruffonata, un’iperbole, per convegnisti ubriachi che vedono doppio e credono di avere quattro gambe e due braccia, come i centauri, che infatti sono esseri mitologici, cioè non esistono.