Andiamo oltre le apparenze, informiamoci

/ 06.03.2023
di Bruno Gambarotta

In Una cosa divertente che non farò mai più David Foster Wallace racconta di una signora che al secondo giorno di navigazione domanda: «L’equipaggio dorme a bordo?». Ha ragione di stupirsi, il piacere della crociera non deve essere guastato dalla vista dei marittimi che sgobbano notte e giorno per noi. In una lontana estate mi sono imbarcato su un piroscafo della Costa Crociere per fare l’animatore in cambio dell’ospitalità per me, mia moglie e la figlia più piccola. In trenta giorni di navigazione non abbiamo mai scoperto chi avesse provveduto a riordinare la nostra cabina. Sulla confezione del prezioso foie gras non ci sarà l’immagine dell’oca imboccata a forza per farle scoppiare il fegato. Il maître che ci consiglia l’aragosta non ci dirà che è stata appena infilata ancora viva nell’acqua bollente. Nel villaggio vacanze in riva all’oceano sconsigliano di oltrepassare il recinto, potremmo scoprire una realtà disturbante, una baraccopoli, un regime dispotico e corrotto. «Tanto non possiamo farci niente». Non è vero, nel nostro piccolo possiamo sempre farci qualcosa. Almeno provare. Sono ottimista, constato che il desiderio di saperne di più sulle diseguaglianze e sullo sfruttamento della mano d’opera è in crescita, grazie alle nuove generazioni e soprattutto alle donne. Non si rassegnano, fanno domande.

È quasi sera, mia moglie sta allestendo lo strudel, all’ultimo momento scopre che le manca il burro, mi spedisce a prenderlo nella latteria sotto casa: «Prima però informati». Roberta sta tirando giù la serranda, siamo amici, riapre per darmi un etto di burro. Cosa dovrei fare? Chiederle il curriculum del contadino che ha munto il latte? Come si chiama la mucca? Indagare se il burro è stato confezionato secondo i parametri corretti? Torno a casa e m’invento tutto, prometto che è l’ultima volta. Nello sforzo di sembrare credibile esagero, lei si commuove. Nel settore degli alimenti il patto fra produttori e consumatori alla fine è basato sulla fiducia. Non sono in grado di intervistare la gallina che ha fatto l’uovo che sto per mangiare per sapere se è stata allevata a terra come afferma il venditore oppure al piano rialzato. Però posso tenere le antenne sempre in funzione. In prossimità dello scorso Natale una rivista di gastronomia titolava un servizio: «Il Rinascimento del cappone». Davvero quei galli hanno pensato a Leonardo o a Michelangelo quando la massaia rurale si è avvicinata a loro impugnando le forbici per privarli degli attributi? I pubblicitari sono i primi ad avvertire i cambiamenti dell’umore e della sensibilità dei consumatori. Lo dimostra la diffusa pennellata green sugli slogan.

Un altro indice positivo è l’interesse crescente per le condizioni di lavoro nella nostra società. È scientificamente provato: se un’azienda è sollecita nel provvedere al welfare per i suoi dipendenti, un’aura virtuosa si trasmette ai suoi prodotti: sono più belli, durano di più. Il welfare aziendale si sviluppa in varie modalità, divise da una linea sottile. Va bene allestire una biblioteca aziendale, va meno bene se il registro dei libri presi in prestito serve per valutare i dipendenti, in base alla quantità e alla qualità delle loro letture. Da una parte ci sono imprenditori che aprono asili nido nell’azienda per aiutare le madri. Dall’altra i fondatori di un’impresa che usano il welfare per diffondere le loro scelte culturali. In teoria sei libero di dire «no grazie» alla gita aziendale per Lourdes ma è meglio di no.

Nella mia prima esperienza di lavoro in una piccola azienda, ricordo che, se il padrone iniziava dicendo «la nostra è una grande famiglia», finiva con l’annuncio di qualche sacrificio per i dipendenti. Il titolare di uno stabilimento tipografico regala una gita in bus ai dipendenti nelle valli valdesi. Il programma prevede una sosta a una miniera di talco grafite. È stata dismessa da molti anni, è diventata un museo vivente, dove i minatori di una volta, recitano la parte di minatori a beneficio dei visitatori. Messaggio subliminare: i giornali che stampiamo tra poco saranno online, preparatevi a fare altrettanto. Brianza, domenica pomeriggio, nel cortile coperto di uno stabilimento che produce grandi rotoli di plastica si tiene un concerto di musica classica, offerto dal padrone melomane ai dipendenti e ai famigliari. Pianista e flautista suonano da grandi virtuosi, io fra un pezzo e l’altro racconto la vita di Wolfgang Amadeus Mozart. E penso all’allarme degli ambientalisti, la plastica invade i mari, una volta sbriciolata i pesci l’inghiottono scambiandola per il plancton. D’ora in avanti, prima di accingermi a mangiare del pesce, farò partire dal giradischi una musica di Mozart.