Cara signora,
in riferimento alla sua risposta alla Lettera di Giulia, pubblicata sul numero 13 di «Azione», desidero esprimere la mia opinione che si discosta dalla sua.
Sono cresciuta in una famiglia con rapporti complessi, sostanzialmente manipolati da un papà instabile, insicuro, sempre alla ricerca di attenzioni tramite malattie vere o presunte, sempre pronto a lamentarsi e a pretendere. Dal momento in cui ho preso coscienza della situazione, ho passato fasi diverse: contatto e impegno, oppure distacco limitando le relazioni al minimo.
Sono arrivata col tempo alla convinzione che l’unica via possibile, per il mio bene, ma soprattutto per la mia attuale famiglia, era quella del distacco. Ho sperimentato che il coinvolgimento emotivo, ma anche pratico nelle frequentazioni, inevitabilmente condizionava il mio essere in generale: le scelte, il pensiero, l’umore. Non penso si tratti solo di semplificarmi la vita (c’è anche un po’ di questo), ma proprio il diritto di riconoscere il diritto e il dovere di creare per i miei figli e per mio marito (per non parlare delle care amiche con cui condivido le grandi sfide) un ambiente sereno.
In genere mi definisco una persona felice e fortunata, ma profondamente in me ritrovo tracce logoranti del mio difficile passato, tracce che non vorrei mai che intacchino anche la costruzione della personalità dei miei figli. Che gioia vederli equilibrati e sicuri di sé! Lo stare con un piede in due scarpe, cioè far combaciare due sistemi così diversi, l’ho provato: un’esperienza fallimentare. Con me non è possibile! Se lo ritiene opportuno, sarei contenta se facesse pubblicare il mio contributo. Infatti sono una convinta combattente dei sensi di colpa (fanno male e non portano niente di positivo). Il mio punto di vista potrebbe rappresentare un invito a una scelta libera, serena e non condizionata da sensi di colpa. / Maria
Cara Maria,
sono ben contenta di pubblicare il suo contributo perché lo ritengo interessante, anche se non valido sempre e comunque. Nella sua lettera lei parla dell’opportunità di esercitare un «scelta libera e serena», ma quando si parla di scelta significa che siamo di fronte a diverse opzioni, a varie possibilità. Se un problema prevede un’unica soluzione è impossibile decidere per quale optare: i problemi morali sono, dal punto di vista psicologico, sempre personali. È probabile che per Giulia il mio suggerimento fosse adeguato tanto che mi ha scritto una bellissima lettera di ringraziamento. A lei invece la stessa decisione non va bene. Molto dipende dal vostro temperamento, dall’età differente, dalla diversa patologia dei vostri genitori. Se i problemi della vita fossero risolvibili una volta per tutte potrei scrivere una ricetta di sicuro successo ma purtroppo non è così.
Le psicoterapie, persino i suggerimenti, per essere efficaci devono seguire le pieghe di quella vita, le pagine di quella storia, le emozioni di una relazione tra chi parla e chi ascolta unica e irripetibile. Se valgono anche per altri è nel senso che aiutano a riflettere, a dare parole al dolore, a superare la solitudine in cui spesso ci richiudiamo nelle situazioni difficili.
Dalla nostra corrispondenza, mi è sembrato di comprendere che Giulia sia una persona molto sensibile, particolarmente affezionata al padre che, come accade di solito agli alcolisti, ha una personalità fragile, in cerca di amore e protezione, anche se incapace di farsi aiutare davvero. Suo padre invece, cara Maria, viene presentato come un manipolatore. Il manipolatore è tutt’altra cosa perché, sotto un guanto di velluto, nasconde un pugno di ferro di cui si avvale per minacciare, in modo ambiguo e sotterraneo, la stabilità delle persone che gli stanno accanto. Di conseguenza, mentre Giulia ha fatto bene a non rompere i rapporti col padre, lei ha fatto altrettanto bene a prendere le distanze dal suo per tutelare la stabilità della famiglia. Non si tratta tuttavia di soluzioni definitive perché è sempre possibile che intervengano mutamenti che richiedono un aggiustamento delle relazioni. Non vi è niente di più complesso delle situazioni familiari in quanto affondano la storia in un passato che per intero non conosciamo e procedono verso un futuro difficile da prevedere .
Lei si definisce una «combattente dei sensi di colpa» il che va benissimo quando, come nel suo caso, non vi sono colpe. Ma è necessario che, se esistono, le colpe siano ammesse, sofferte e se ne valutino le conseguenze prima di chiudere la questione perdonando con leggerezza se stessi e gli altri, siano essi complici o testimoni indifferenti. Conosco persone irresponsabili incapaci di ammettere il male che hanno fatto, le sofferenze che hanno suscitato, il danno che hanno provocato. In questi casi è impossibile indurre in loro alcuna trasformazione e la situazione rimane immobile, pietrificata, con grave danno delle vittime e oltraggio alla verità.
Lei è indubbiamente una persona forte e risoluta, felice e fortunata, ma mai dire mai: nella vita tutto può cambiare da un momento all’altro ed è meglio mantenere aperti la mente e il cuore.