Cara dottoressa Vegetti Finzi,
leggo sempre con interesse e apprezzo molto i Suoi interventi su «Azione», dove mi ha fatto piacere ritrovarLa, visto che La seguivo anche quando stavo ancora in Italia. Del Suo recente contributo del 13 giugno condivido la conclusione, quando propone l’ascolto (sarebbe difficile essere in disaccordo). Mi stupisco però che alla nonna preoccupata per la nipote sedicenne che da un anno si dichiara maschio, si fascia il seno e vuole essere chiamata Kalvin, Lei risponda parlando di ribellione giovanile o della volontà di dare scandalo per essere popolare tra i coetanei. Ovviamente dalla lettera non è possibile conoscere esattamente la situazione di Kalvin, ma Lei non contempla nemmeno l’idea che si possa trattare di un ragazzo transgender. Ieri con altre 40’000 persone ho manifestato al Pride di Zurigo in particolar modo per i diritti delle persone trans, perché è urgente fare qualcosa affinché tutte le persone LGBT+ siano protette dalle discriminazioni e dalla violenza. Ritenere che l’essere trans possa essere una questione di moda contraddice tutte le storie di assassini e violenze perpetrati ai danni di queste persone. E anche l’elevato tasso di suicidi dovrebbe far riflettere. Il fatto che ora ci siano più persone che fanno coming out come persone trans dipende dal fatto che la situazione è migliorata anche a livello giuridico. È vero che le personalità di successo che si dichiarano trans svolgono un ruolo, ma non perché stimolano l’emulazione, bensì perché incoraggiano a essere sé stesse e sé stessi. Grazie per l’attenzione e cordiali saluti da Oltralpe. / Antonella
Cara Antonella,
grazie innanzitutto per l’interesse e l’apprezzamento che esprime nei confronti di questa Rubrica. Se abbiamo deciso di chiamarla la «Stanza del dialogo» è per sottolineare la forma colloquiale di questo spazio, il fatto che non vi è alcuna pretesa di proporre una morale generale, valida per tutti. Da psicologa di lunga esperienza, offro innanzitutto un ascolto attento e partecipato a problemi personali, unici, irripetibili.
In questo caso non sono in gioco «i diritti delle persone Trans né l’obbligo di far sì che tutte le persone LGBT+ siano protette dalle discriminazioni e dalle violenze» ma, semplicemente, le preoccupazioni di una nonna in pena. L’elemento fondamentale non è che la nipote Laura voglia essere considerata un maschio e che si sia già attribuita un nome maschile. Ma che abbia solo sedici anni.
Può darsi che in futuro il suo desiderio si realizzi, che divenga davvero quel Kalvin che attualmente il suo aspetto da ragazzo propone. Mi auguro che, in questo modo, si senta autentica e realizzata. Ma non è detto. Ho assistito io stessa a pentimenti imprevisti oppure, come se niente fosse, a una ripresa dell’identità e delle relazioni precedenti. Negli anni Ottanta Elena è stata una delle prime liceali a dichiararsi ragazzo e a mettersi in coppia con una coetanea. Anni dopo l’ho ritrovata felicemente sposata e mamma di tre figli e sembra aver dimenticato un’identità tanto problematica quanto provvisoria.
Spesso gli adolescenti che stanno affrontando l’eventualità di un cambio di identità chiedono ai parenti o direttamente a un medico di prescrivere loro cure ormonali o di essere sottoposti a interventi chirurgici. A quell’età il pensiero è assoluto: tutto o niente. Ma, poiché si tratta in molti casi di provvedimenti irreversibili, la prudenza non è mai troppa.
Vorrei sottolineare che la biografia di Laura è molto particolare (la madre si è fatta viva solo ora dopo molti anni) e che, come tale, richiede un’attenzione accorta e un ascolto non prevaricante. Non è detto che l’adolescente che chiede consenso desideri proprio essere confermato, può darsi che intenda invece essere confutato, che lo si aiuti ad aprire un contraddittorio interiore. Comprendo che i nonni, consapevoli della sofferenza dell’amatissima nipote, intendano accontentarla con la speranza di vederla finalmente felice. Ma la felicità non può essere un dono. È una conquista faticosa e complessa, che non conosce scorciatoie. Essere «sé stessi o sé stesse» è un punto d’arrivo, non di partenza. Chiedere ai giovani di scrivere la propria autobiografia può essere un aiuto a trovare il filo per cucire la propria identità, che non è solo sessuale ma, in senso complesso, esistenziale. Grazie ancora per la sua attenzione.