Anche le parolacce diventano laiche

/ 05.11.2018
di Luciana Caglio

Procede a tappe, sempre più ravvicinate, il processo di secolarizzazione in Irlanda. Nel maggio 2015 gli elettori accettano le unioni gay, nel maggio 2018 passa l’aborto legalizzato e, il 28 ottobre scorso, è la volta della blasfemia che non sarà più reato, come prevedeva la Costituzione. E una bestemmia poteva costare multe salatissime: fino a 25’ 000 euro. Si trattava, del resto, di adeguarsi a una raccomandazione del Parlamento europeo, basata sul principio della libertà d’espressione, secondo il quale «l’insulto religioso non costituisce reato e, quindi, non giustifica condanne». Come, per nostra fortuna, avviene nella stragrande maggioranza dei paesi democratici, cui, ovviamente, appartiene l’Irlanda, dove però l’avanzata della laicità doveva assumere tratti particolari: quelli di una rivalsa nei confronti di un cattolicesimo oppressivo e corrotto. In proposito la ricca letteratura irlandese ci ha fornito incessanti testimonianze. Basti pensare, citando un esempio recente e popolare, a Le ceneri di Angela di Frank McCourt:, romanzo e cronaca di un’infanzia, fra povertà e sofferenze inverosimili, subite in scuole affidate a religiosi.

Ora quest’Irlanda non esiste più. Si è voltato pagina depenalizzando l’insulto religioso. Anzi banalizzandolo, come si poteva leggere nell’edizione domenicale di «Irish Indipendent», il più diffuso quotidiano dell’isola, che, casualmente, ho avuto fra le mani. In un commento di prima pagina, Brennon O’Connor non nascondeva una certa inquietudine nei confronti di un cambiamento che cancellava un passato, dove la fede religiosa improntava la quotidianità. E, a modo suo, persino la blasfemia tollerata lo confermava. Si viveva, insomma, fra invettive contro Dio, la Madonna e i santi, e, d’altro, canto il rosario recitato in casa, il suono delle campane che scandiva le giornata.

Ma, allargando lo sguardo, al di fuori dei confini irlandesi, e registrando i comportamenti delle nuove generazioni e persino i nostri di anziani giovanilisti, la constatazione è inevitabile. E, per certi versi, consolatoria. Dal linguaggio popolare e, in particolare, dal gergo giovanile, la bestemmia è praticamente scomparsa. Quell’invettiva, lanciata contro i poteri divini, che, sino a mezzo secolo fa, apparteneva alla parlata dei contadini, oggi non risuona più, sui campi e sui cantieri. Aveva un significato liberatorio, rappresentava una forma di ribellione individuale e, in definitiva, alludeva alla presenza, nella quotidianità, del fattore religioso. Insomma, la chiesa ancora al centro del villaggio.

Non che, sia chiaro, le cosiddette parolacce non esistano più. Anzi, imperversano, come molti deplorano. Ma fanno capo, ad altre fonti d’ispirazione o riferimento, risapute: il cinema, la tv, la musica pop, lo sport, e , ormai frequentatissimi, i canali elettronici. Si tratta, insomma, di un’ondata incessante e di continuo rinnovata che, da un lato, appartiene allo «slang» di gruppi soprattutto giovanili, ma dall’altro contagia il linguaggio normale, persino, loro malgrado, dei benpensanti o ben parlanti che siano. E sono diventati materia di ricerca per gli addetti ai lavori: oggi, ben lontani, dal rigore purista di un tempo.

Ottavio Lurati, nella Neologia degli anni 1980-90 e Sebastiano Vassalli in Il neoitaliano anni 80, registrarono quest’afflusso di parole nuove, fra cui non mancavano anche le parolacce. Che, ben presto, non sarebbero più state tali, ormai assolte dall’uso comune. Tuttavia, secondo studi su scala mondiale, l’italiano risulta meno contaminato dai gerghi volgari: soltanto lo 0,5% dei vocaboli più usati appartiene alla categoria parolacce. Mentre, per gli anglosassoni, soprattutto americani, si sale addirittura al 7%. In Ticino poi, come osservava Lurati nel suo Italiano regionale, la frontiera rappresenta un filtro che rallenta la diffusione dei neologismi, e quindi delle parolacce. Ma è anche questione di disinvoltura. Sui quotidiani italiani «cazzo» «cazzeggio», «figo», «sfigato,» «stronzo», «cagata», compaiono, ormai, in articoli e commenti seri, che recano firme prestigiose. Una libertà che, da noi, non ha corso. Personalmente, li scrivo qui per la prima volta. E non si ripeterà, considerando la libertà un’altra cosa.