C’era una volta la Quaresima che, in nome della tradizione religiosa, imponeva rinunce a cui spettava un significato d’ordine morale: un momento di riscatto dopo gli eccessi goderecci del Carnevale. Quindi, niente divertimenti, considerati peccaminosi, tipo balli nei night club, scorpacciate e sbronze, insomma un invito alla moderazione a tavola, e persino un digiuno purificatore, e meno svaghi. Tanto che, il venerdì Santo alcuni cinema rimanevano chiusi. Era il prezzo da pagare per mettersi a posto la coscienza schierandosi fra i virtuosi. Si sta parlando di un’epoca non lontanissima, quando, per dirla con un luogo comune, la chiesa era al centro del villaggio, in grado di esercitare un influsso determinante sulle abitudini popolari. Da questo fardello di regole e di sacrifici ci si è sganciati, in una società laica, tollerante, che consente di scegliere liberamente ideologie e fedi, senza subirne condizionamenti.
A ben guardare, però, il bisogno e il piacere di professare un credo, per sentirsi in sintonia con il proprio tempo, sono tutt’altro che scomparsi. Certo è cambiato l’obiettivo delle nuove fedi: dall’ambito della salvezza spirituale si è spostato su quello prosaico della salute fisica aprendo l’era del salutismo. Secondo il dizionario Treccani, il neologismo definisce «l’atteggiamento di particolare, e talora eccessiva attenzione alla cura della salute». Alludendo al possibile rischio del troppo. Sta di fatto che il culto del corpo va di moda ed esige sacrifici, per altro accettati. Anche in nome di una scelta virtuosa dagli effetti allargati. Con esercizi in palestra, jogging all’aperto e diete rigorose il singolo cittadino si difende da obesità e cardiopatie, insomma dai mali del secolo. E diventa un esempio sul piano collettivo.
Negli ultimi decenni, la disponibilità al sacrificio individuale rivolto al benessere comune ha trovato un obiettivo dagli effetti che più estesi non si può: posta in gioco la salvezza del pianeta. Un concetto, a prima vista astruso, reso invece accessibile da una ragazzina che ha saputo mobilitare le folle giovanili, e non solo quelle. Sfruttando il vuoto ideologico del momento e un diffuso spirito anticasta, Greta offre l’alternativa dell’ambientalismo come àncora di salvezza da incombenti catastrofi globali. Proponendo rimedi ostici, che rimettono in discussione abitudini quotidiane che sembravano acquisite per sempre. Niente viaggi in aereo, niente auto, niente svaghi che implicano sprechi e spostamenti e, non da ultimo, una conversione alimentare secondo i canoni vegetariani e vegani. Le sorti del pianeta si decidono soprattutto a tavola. Da qui, rinunce che, a quanto pare, incontrano il favore di una nuova generazione di virtuosi dell’ultima ora. E meritano l’ammirazione dovuta a chi s’impegna per una buona causa, al riparo dall’insidia del dubbio, e magari del ridicolo.
Per età e per pigrizia mentale non appartengo alla categoria dei convertiti. E confesso di aver reagito con sorpresa e sconcerto leggendo il «Bilancio ecologico degli spaghetti alla bolognese», pubblicato, qualche settimana fa, dalla «Neue Zürcher Zeitung», sulla scorta di un accurato documento scientifico. Gli autori, una squadra di qualificati ricercatori, denunciavano le pesanti conseguenze, sul piano ambientale, di un piatto comodo e simpatico, entrato ormai nelle abitudini gastronomiche mondiali. Sotto accusa, innanzi tutto, la carne tritata, elemento centrale del condimento, ma anche il pomodoro, quello fresco, in particolare se consumato fuori stagione, oppure conservato in lattine e vasetti, che ovviamente producono rifiuti da smaltire. Non indenne neppure l’olio d’oliva, con cui si frigge la salsa bolognese. E non si salva la pasta, che magari arriva da lontano, e guai se fosse all’uovo. A sua volta, pesa sul bilancio ecologico il parmigiano grattugiato, di cui si potrebbe fare a meno. Si salva soltanto la cipolla, che ha il merito di crescere anche nei nostri orti. Del resto, i ricercatori suggeriscono possibili alternative: il tofu invece della carne. Tutto ciò in nome di un dato di fatto incontrastabile: in Svizzera il 30% dell’inquinamento ambientale proviene dai consumi a tavola.
Eccoci, allora, da ticinesi, abituati al rito del «Stasera ci facciamo due spaghetti», spesso condiviso fra amici, alle prese con un inatteso dilemma. Si tratta di scegliere fra un dovere virtuoso e la libertà di sottrarsi al ridicolo.