Anche la Barbie è diventata femminista

/ 19.09.2022
di Lina Bertola

Immagino che a molte bambine, di stagioni più o meno lontane, sia capitato almeno una volta di trovare sotto l’albero di Natale una splendida bambolina plastificata, coscia lunga, fisico perfetto, occhioni spalancati, abiti luccicanti e soprattutto lunghissimi capelli. Sto parlando della Barbie, ormai sessantenne ma sempre in gran forma. Talmente in forma che ultimamente sta tentando di espandere la sua già ampia presenza nel mondo dei giochi con una serie di bambole da collezione. Inaugurata l’8 marzo 2018, la nuova costosissima Barbie si ispira a donne vere che hanno fatto la storia. Personaggi come l’artista Frida Kahlo o come la famosa etologa ed attivista Jane Goodall, accuratamente «mascherate» da Barbie, e sempre con capelli in bella vista, sono ora a disposizione delle bambine con lo scopo, scrive la casa produttrice nel suo sito ufficiale, di «rendere omaggio a incredibili eroine, donne coraggiose che hanno rischiato, hanno cambiato le regole e aperto la strada a generazioni di ragazze per sognare più grande che mai».

Donne ispiratrici, insomma, che avrebbero il desiderio di offrirsi all’immaginario delle bambine come modelli esistenziali. Da pochi mesi un’altra grande donna in miniatura, consegnata a mani giocose, è comparsa sul mercato. Si tratta di Ida B. Wells, nata schiava nel 1862, diventata poi giornalista e attivista per i diritti civili e per il suffragio femminile. Ultima arrivata, qualche settimana fa, madame B. Walker, la prima donna milionaria afroamericana di umili origini che da sola è diventata proprietaria di un immenso impero nel settore della cura dei capelli.

Sgranando i suoi occhioni sulla ricerca scientifica, facendosi testimone dell’impegno politico e del valore artistico delle donne, ma anche dei loro sogni di ricchezza, la nostra Barbie sembra essere diventata femminista. Sono andata a curiosare in un paio di negozi di giocattoli, ma di queste icone ispiratrici nemmeno l’ombra. Dagli scaffali continuano a mostrare ampi sorrisi, e abiti sontuosamente kitsch, soprattutto regine, sirenette e spose. Qualcuna appare anche in abiti da lavoro, sempre accompagnata da coloratissimi accessori, valigetta e cellulare, ma anche pettini, fibbie, rossetti, e altri ninnoli vari. Una venditrice mi ha spiegato che di Barbie ispiratrici ne hanno avuto qualche esemplare, ma le attiviste e le femministe sono molto più care, costano quasi il doppio di principessine e sirenette. Vedremo a Natale, aggiunge, quando torneremo a proporle.

Mi sono chiesta se questa operazione di nicchia vada considerata una scelta di marketing per cavalcare il pink power in tipica salsa americana o se davvero sia animata da autentiche buone intenzioni. Anche volendo optare per questa seconda ipotesi, anche accogliendo fiduciosi le motivazioni con cui è stato avviato questo progetto, c’è da chiedersi se ciò riesca davvero a incoraggiare e a promuovere nelle bambine l’immagine di una donna libera ed emancipata. I dubbi sono molti. E non solo i dubbi. A me pare infatti che tutta questa vicenda, giocata tra esigenze commerciali e bisogni culturali, sia sintomo della gran confusione etica che si sta consumando nel nostro tempo.

Consegnare il valore di queste protagoniste della storia alla loro immagine esteriore, alla loro fisicità, non permette certo di entrare in contatto con il loro animo, con il loro mondo interiore, con quella umanità per cui la vita di queste donne possa essere presa a modello.

Vestite bene, con abiti d’epoca, toccate da manine curiose, possono essere pettinate e accudite, con molti dei gesti consueti in cui si esprime il piacere di giocare con le bambole. E qui va sottolineato un altro paradosso: mentre la bambina dovrebbe imparare a rispecchiarsi in questa bella figura di donna emancipata, in realtà continua a relazionarsi a lei secondo i modelli più tradizionali di comportamento femminile. Il modo di interagire con Ida Wells, o con madame Walker, rinforza comportamenti femminili che confliggono con il messaggio di queste donne; nel gioco vengono infatti rinforzati quegli atteggiamenti di cura in cui per secoli è stata ingabbiata l’identità della donna. In un contesto ludico che di fatto ripropone alle bambine la dimensione domestica della cura, il valore di donne emancipate, imprigionato nel sorriso di una bambola, non sembra destinato ad avere un effetto liberatorio. Meglio allora cambiare le scarpine della ballerina o pettinare la lunga chioma della sirena. È più coerente.

Anche in vicende minuscole come questa, le istanze femministe mostrano il rischio di restare prigioniere delle gabbie simboliche di genere.