Anche il marciapiede si aggiorna

/ 26.08.2019
di Luciana Caglio

Il pedone deve farsene una ragione. Ormai di quella striscia di strada, sopraelevata, al riparo dal traffico, ha perso l’esclusiva. Si ritrova così a condividere, con altri inattesi utenti, uno spazio che, per definizione, gli spetta. Oltretutto, spesso è risicato. Come avviene a Lugano, città a effetto «trompe-l’oeil», che in quanto a dimensioni inganna i suoi ospiti. La «piccola grande città», l’aveva chiamata, più di mezzo secolo fa, lo scrittore G.B. Angioletti, definizione poi ribadita da Prezzolini. Sta di fatto che il marciapiede è sotto assedio, da parte di un esercito d’occupazione invadente e persino seducente, a cui è giocoforza arrendersi. E, sia chiaro, non soltanto a Lugano.

Si assiste, infatti, a un tipico fenomeno globale, che associa tecnologia e ideali. Qual è, appunto, la diffusione di forme di mobilità, alternative all’auto e alla motocicletta, ispirate a una concezione ecologica dei mezzi di trasporto e rese possibili da un’industria innovativa. Da qui il ripristino della bicicletta, quella tradizionale, simbolo di sane fatiche, ma che spesso ricompare in versione agevolata, cioè elettrica. In mancanza, però, di piste ad hoc, del resto non facili da sistemare in un territorio esiguo e tortuoso, i nuovi ciclisti salgono sui marciapiedi, attribuendosi il diritto al fatto compiuto. Nei loro confronti, le nostre autorità, poliziotti compresi, sembrano disarmati. Del resto, a complicare la situazione, è arrivato un altro intruso: il monopattino per adulti, ben inteso elettrico. Una stagione ancora agli albori, da noi, ma che, nei grandi centri, fa tendenza, anche fra cittadini insospettabili: tipo manager, bancari, funzionari, politici non necessariamente verdi. Un boom, insomma, che a Zurigo e a Milano ha messo in evidenza un vuoto da colmare introducendo limiti di velocità, 20 km al massimo, segnaletica, controlli del noleggio-sharing, norme per l’illuminazione notturna. A Berna poi, esempio di scrupolo elvetico, si è aperta la discussione sugli effetti ambientali della micromobilità d’ultima generazione. A quanto pare, il bilancio è negativo. La e-trottinette consuma più energia della e-bicicletta, ed è meno resistente a un uso prolungato.

Ma, allora, come si spiega il suo successo? Sul «Foglio», Giuliano Ferrara, reduce da una Parigi invasa dai monopattini, ne prende atto con divertito disappunto: «A me sembrano un fastidioso disastro, un intralcio, un pericolo ma anche un segno di leggerezza, di spirito infantile e sbarazzino». Tanto da ringraziare, ironicamente, la signora Raggi: «Viva le buche di Roma che tengono lontani i monopattini elettrici dalle nostre passeggiate». Ecco, infine, la parola centrale del discorso: passeggiare. Che sottintende assicurare a chi pratica la forma primordiale di mobilità, il suo spazio vitale, il marciapiede. Un pezzo d’asfalto o di lastricato che, da quando fu inventato, a Londra alla metà del XVIII secolo, è diventato lo scenario di una quotidianità sempre più affollata e in continuo cambiamento, che oggi ha accelerato i ritmi. Al punto che, sul marciapiede, l’ex-titolare rischia, a volte, di diventare lui, l’intruso.

Situazione in cui, personalmente, mi riconosco, percorrendo, ogni giorno, marciapiedi stretti, addirittura striminziti, intasati da bici, skate-board, pattini a rotelle, monopattini per bambini d’ogni età, artisti di strada, persino qualche mendicante, e poi cagnolini a tre per volta o un solo cane ma formato vitello: è una convivenza che ben rispecchia la società contemporanea e si presta a considerazioni di segno opposto. Il rimpianto, persino la riprovazione moralista, o invece un senso di libertà, di tolleranza, di possibili sorprese che incuriosiscono. Ho dovuto, in parte, ricredermi sul conto dei ciclisti: alcuni, addirittura, si scusano, per l’invasione di territorio. Quanto ai proprietari di cani, mi è capitato di ascoltare storie di commoventi amicizie. Nessun contatto diretto con i piloti delle trottinette elettriche: sfrecciano velocissimi, imperturbabili. Nei loro confronti si giustifica un banale interrogativo: perché tanta fretta, qual è il loro effettivo guadagno di tempo? Viene il dubbio che si tratti di una moda, di uno svago, camuffato da virtù ecologica.