Anche alla solitudine ci pensi lo Stato

/ 19.02.2018
di Luciana Caglio

Secondo dati statistici, per altro contrastanti, sarebbero 2 o addirittura 9 milioni, i cittadini del Regno Unito alle prese con la solitudine, disagio ormai considerato alla stregua di un allarmante fenomeno nazionale. Tanto da mobilitare il governo della signora May a intervenire prestando gli aiuti del caso. Da qui, la decisione, d’istituire un vero e proprio ministero per la solitudine, entrato in funzione il 17 gennaio e affidato a Tracey Crouch, intraprendente quarantenne, che in precedenza si era occupata del dicastero sport e società, ambito di ordinaria amministrazione. Adesso, invece, alla testa di un organismo governativo, che è una primizia, ha dovuto precisare, a scanso di equivoci, che la solitudine rappresenta una reale emergenza per la collettività, anche dal profilo finanziario. Come emerge dal lavoro d’indagine, compiuto dalla commissione Jo Cox (dal nome della deputata uccisa da un estremista di destra, durante la campagna Brexit) che denunciava l’evoluzione di un male individuale, spesso nascosto, cresciuto a epidemia sociale, sempre più evidente.

La figura stessa del solitario tipo sta cambiando. Se, nel passato, era principalmente associata a povertà, malattia, ignoranza, oggi si presenta anche sotto mentite spoglie. Concerne una categoria ben più ampia di persone vittime, più o meno consapevoli, del progresso tecnologico, e affascinati dalle prospettive di un individualismo assoluto. In questo nuovo clima, si sono costruite un’autonomia che esclude ogni forma di dipendenza e collaborazione con gli altri, e quindi elimina ogni contatto diretto. Sono in grado di fare più cose, per conto proprio, grazie a congegni che sostituiscono le persone, familiari, amici, colleghi, ormai superflui. Con effetti registrati dalla demografia e dalla sociologia: non ci si sposa, si limitano o si evitano le nascite, ci si concentra sul proprio io.

Questo contagio non conosce confini. Gli americani, che consideravano la solitudine una malattia prettamente inglese, dovuta a una tradizione di signorile riservatezza, a loro volta si trovano ad affrontare una nuova generazione di solitari. In proposito, il sociologo Robert Putnam, già nel 2000, aveva dedicato al fenomeno il saggio Bowling alone, un titolo che fece epoca, diventando addirittura «una metafora», (mi approprio di una definizione letta sul «Foglio» di domenica scorsa!). Si riferisce a comportamenti rappresentativi, nella quotidianità americana: cresce, nelle sale da bowling, il numero dei frequentatori per conto proprio, cala quello degli iscritti a una squadra. In altre parole, va scomparendo l’associazionismo, un aspetto che fu tipico della convivenza negli USA. Ed è una tendenza, da ascrivere ai grandi mutamenti epocali irreversibili, in cui il cittadino disorientato chiama in causa lo Stato, che dovrebbe aiutarlo a risolvere anche un effetto collaterale della tecnologia e dell’informatizzazione, qual è appunto la solitudine, condizione un tempo strettamente privata. Non è forse illusorio chiedere la soluzione al ministero di Tracey Crouch?

L’interrogativo ci concerne tutti quanti, e persino nella nostra minuscola realtà ticinese, che, per sua natura, facilita i rapporti umani. Sui quali, però, l’avvento di compter e smartphone, hanno influito inesorabilmente. Sono scomparse, dal nostro orizzonte quotidiano, figure ormai irrecuperabili: il benzinaio, il tipografo, il fotografo, il bancario dietro lo sportello, il bigliettaio, la sartina, il portinaio, e via enumerando prestatori d’opera, negli ambiti più svariati e sempre personalizzati. E, conseguentemente, si vive una nuova forma di solitudine involontaria. Nei cui confronti c’è, anche da noi, chi invoca l’intervento delle autorità che, dal canto loro, si danno da fare organizzando eventi a gogò. I cosiddetti momenti d’aggregazione. Si assiste, tuttavia, a un vistoso paradosso. Cala, da parte dei cittadini, la fiducia per la politica, ma aumenta il ricorso alla delega. In altre parole, se le cose non vanno per il giusto verso, e per citare l’esempio più attuale a Lugano, i negozi che chiudono, ci si rivolge alle autorità. Alle quali, in definitiva, si chiedono miracoli. Non soltanto di rianimare la via Nassa, salotto ormai dimenticato dai luganesi, ma persino di rimediare alla solitudine. Che, tra altro, potrebbe essere anche una scelta volontaria, a suo modo godibile.