Amazon, abbiamo un problema

/ 05.07.2021
di Natascha Fioretti

C’è un servizio di ITV News, il notiziario della rete televisiva britannica indipendente, che sta facendo il giro del mondo e suscitando molto interesse. D’altra parte quella che solleva il giornalista Richard Pallot è una questione calda e di non poco conto. Vuoi perché tutti almeno una volta nella vita abbiamo acquistato su Amazon, vuoi perché le sorti dell’ambiente ci riguardano e sempre più da vicino. Grazie a riprese fatte con una telecamera nascosta Richard Pallott ha potuto filmare come uno dei più grandi centri di stoccaggio di Amazon a Dufermline in Scozia ogni settimana mandi al macero 130’000 prodotti in perfette condizioni. Si tratta dunque di prodotti nuovi, spesso inutilizzati. Per intenderci parliamo di smart TV, droni, asciugacapelli, computer, auricolari di ultima tecnologia, migliaia di mascherine ancora chiuse nelle confezioni, bizzeffe di libri intonsi. Tutti gettati in box contrassegnati con l’etichetta «destroy» che vengono caricati e portati alla più vicina discarica.

Se pensiamo che tutta l’Inghilterra di magazzini così ne conta 24, se ognuno di questi opera allo stesso modo pensiamo alle quantità industriali di spazzatura da smaltire e, soprattutto, all’indicibile spreco che si traduce in uno schiaffo alla povertà o alle famiglie che durante la pandemia non hanno potuto permettersi un pc per i propri figli che seguivano le lezioni scolastiche da remoto. È il caso di Chelaine Young, che vive nella periferia sud di Londra. Si dice disgustata. Per mesi i suoi figli hanno dovuto seguire le lezioni sull’iphone. Damian Griffiths  di Catbytes, un’organizzazione non profit che promuove l’apprendimento digitale nelle comunità della periferia londinese lo definisce «un totale spreco».

Alle loro voci si aggiunge lo sconcerto di Sam Chetan Welsh, attivista politico di Greenpeace «un’ inimmaginabile quantità di inutile spreco. È scioccante vedere che un’azienda multi-miliardaria si liberi in questo modo delle sue scorte» e invoca l’intervento del governo di Boris Johnson che però per ora si riserva di approfondire la questione e poi valutare il da farsi. A confermare i filmati ci sono anche le dichiarazioni e i racconti di due ex dipendenti e un whistleblower «Di settimana in settimana il nostro scopo era quello di distruggere 130’000 prodotti senza motivo. Dai purificatori d’aria della Dyson ai MacBook e gli Ipad. Per il 50% si tratta di prodotti mai aperti, per l’altra metà resi in ottime condizioni. In verità però un motivo c’è che spiega tutta l’operazione. Più un prodottto rimane invenduto, più l’azienda produttrice paga Amazon per lo stoccaggio nel suo magazzino. Ad un certo punto è più conveniente e più economico per l’azienda dire ad Amazon di sbarazzarsi della merce che aspettare l’arrivo di un nuovo ordine. Tra l’altro, come racconta lo stesso Richard Pallot, anche se si tratta pratiche ambientali ed etiche profondamente scorrette, quello che sta facendo Amazon non è illegale.

Certo fanno sorridere le dichiarazioni rilasciate dall’azienda secondo cui il colosso dell’e-commerce di Jeff Bezos starebbe lavorando all’obiettivo di azzerare lo smaltimento dei prodotti dando priorità al riuso, riciclo e alle donazioni dei prodotti invenduti alle organizzazioni benefiche.

Fa sorridere anche il fatto che a soli 64 km a sud di Dunfermline si arriva a Glasgow e proprio qui in Novembre si terrà la più grande conferenza climatica del mondo. Intanto Philip Dunne, Presidente del Comitato per il Controllo Ambientale, grida allo scandalo e dice che Amazon deve affrontare la questione. Ora ci saranno delle indagini e proprio a queste fa riferimento il titolo dell’articolo sul Washington Post firmato da Jennifer Hassan. Avete letto bene, la notizia è stata ripresa proprio dal giornale di Jeff Bezos.

Nell’articolo si dice che i legislatori britannici stanno chiedendo un appuntamento con il country manager di Amazon e riporta tutti fatti raccontati da ITV News. Riporta anche le dure critiche espresse da Greta Thunberg sui social media e, non potevo credere ai miei occhi quando l’ho letto, conclude così «Le accuse alle politiche di Amazon in fatto di distruzione di prodotti in buone condizioni non sono nuove. Nel 2019 “Le Monde” raccontava che Amazon nel 2018 si era disfatto di più di tre milioni di prodotti invenduti titolando: Amazon, venditore di distruzione di massa». La società connessa di Natascha Fioretti