All’orizzonte, 80’000 frontalieri

/ 23.05.2022
di Angelo Rossi

L’evoluzione demografica continua a tener banco tra gli oggetti politici di attualità nel nostro Cantone. Due settimane fa il dibattito che stava orientandosi verso un problema in sé secondario, quello della cosiddetta «fuga dei cervelli», è stato rianimato dalle previsioni, molto preoccupanti, consegnate in uno studio dell’evoluzione dell’offerta e della domanda di lavoro nei prossimi cinque anni, preparato dalla Supsi. Intendiamoci: i risultati dello studio sono preoccupanti nella misura in cui queste previsioni dovessero confermarsi. E non solo rispetto alla variante massima, quella cioè nella quali il divario tra le lame delle due forbici – quella dell’offerta e quella della domanda di posti di lavoro – risulta massimo, ma anche nel caso della variante minima che anticipa pur sempre un fabbisogno di manodopera da soddisfare, tra cinque anni, dell’ordine delle 33’000 unità (il dato corrisponde all’aumento dei posti di lavoro, rispetto a oggi, più il numero delle persone attive che andranno in pensione e che, in principio, dovrebbero essere sostituite).

Di questa previsione dei ricercatori della Supsi sappiamo solo quello che hanno pubblicato i giornali. Comunque, statistiche alla mano, non sembra che i loro risultati siano infondati. Se consideriamo come la domanda (i lavoratori) e l’offerta di lavoro (quella che proviene dai datori di lavoro) sono evolute nel corso degli ultimi 15 anni, possiamo affermare che i risultati delle varianti dello studio Supsi non sono certamente lontani dalle previsioni che si potrebbero fare estrapolando le tendenze di evoluzione in atto. Addirittura questo continuerebbe a valere anche se si tenesse conto degli eventuali brevi colpi di freno nelle assunzioni, imposti dalle misure anti-pandemiche. Aggiungiamo ancora che l’attendibilità di queste previsioni viene rafforzata dal fatto che il periodo di previsione è brevissimo: si tratta di soli 5 anni, quindi praticamente di dopodomani. Stando agli autori dello studio, tra 5 anni, per far fronte al fabbisogno di 33’000 nuove forze di lavoro, ci sarebbero solamente 28’000 lavoratori alla ricerca di un posto di lavoro. Mancherebbero dunque al mercato del lavoro ticinese almeno 5000 lavoratori per poter equilibrare l’offerta di posti di lavoro proveniente dalle aziende. Stiamo quindi avviandoci verso un mercato del lavoro con almeno 80’000 frontalieri.

Di fatto però le dimensioni del disequilibrio sono maggiori perché, secondo i ricercatori della Supsi, i giovani che, nel Cantone, terminano la loro formazione sono «disallineati» rispetto alle offerte di posti di lavoro delle aziende. Sul mercato del lavoro locale si registrerebbero eccessi di domande di lavoro, da parte dei giovani, nei settori fiscale, bancario, assicurativo, del marketing e della pubblicità, ma anche nelle professioni che richiedono una formazione in scienze umane, artistiche e sociali. Questi giovani lavoratori in esubero sono probabilmente quelli che alimentano i flussi della fuga dei cervelli. Per contro si registra una scarsità di domande di impiego per quelle occupazioni per cui non è necessaria una formazione con una specifica specializzazione. Siccome non abbiamo ancora avuto la possibilità di leggere lo studio della Supsi non siamo in grado di precisare di quali occupazioni si tratti. Su questo aspetto sarà bene ottenere maggiori informazioni. E, in particolare, sui salari che vengono offerti a lavoratori senza una specifica specializzazione. Perché, secondo noi, nella scelta della formazione professionale la vocazione conta di certo molto, ma anche le probabilità di carriera e, dulcis in fundo, il salario hanno il loro peso.

Lo studio della Supsi, sollecitato da un’associazione di datori di lavoro, conferma due tesi che, da anni, vengono propagate dagli stessi. Stando alla prima, la domanda di posti di lavoro da parte della manodopera locale sarebbe insufficiente a coprire il fabbisogno crescente in lavoratori dell’economia ticinese, la quale, quindi, non può far altro che ricorrere, in misura crescente, alla manodopera frontaliera. La seconda tesi sostiene inoltre che il sistema educativo e della formazione professionale del Cantone non avvia i giovani residenti verso le professioni che vengono maggiormente richieste dall’economia e rappresenta quindi un attestato di parziale inefficacia per i servizi dell’orientamento professionale, pubblici e privati.