Alleanza atlantica più larga e più forte

/ 17.07.2023
di Paola Peduzzi

La NATO torna da Vilnius più larga, più forte e più determinata a sostenere la difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa «finché sarà necessario». Più larga: ad aprile è stato approvato l’ingresso della Finlandia, il trentunesimo membro, ed entro l’anno sarà approvato quella della Svezia, dopo che la Turchia e l’Ungheria hanno tolto il loro veto. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha negoziato – mercanteggiato è più corretto – per molti mesi, chiedendo condizioni molto dure a Stoccolma, come il rimpatrio di cittadini turchi sospettati di terrorismo, e cercando di ottenere il più possibile in termini economici, militari e di considerazione politica. Ma quel che conta di più della Turchia è che, da quando è scoppiata la guerra, si è ritagliata un posto mediano – non applica le sanzioni occidentali a Mosca ma vende armi a Kiev, per esempio – che con il passare del tempo è sembrato scivolare più dalle parti di Vladimir Putin. Turchia e Russia hanno infatti molti interessi convergenti soprattutto nella regione mediorientale e collaborano su parecchi fronti; l’ostilità di Erdogan all’allargamento della NATO è parso, nel suo protrarsi, un favore molto grosso a Putin.

La decisione sulla Svezia di fatto doveva levare questa ambiguità pesante, in una realtà che sempre meno è leggibile con il filtro della neutralità, ed Erdogan ha scelto la NATO. In cambio ha ottenuto una commessa militare da 20 miliardi di dollari in jet F-16 americani e probabilmente molto altro di cui sapremo strada facendo, ma quel che più interessa al presidente turco è che una nuova legittimazione si traduca in una maggiore credibilità economica per la Turchia, che dal punto di vista finanziario è in una condizione disastrosa. Erdogan ha inizialmente legato la caduta del suo veto al ripristino del processo di ingresso della Turchia all’UE che è congelato dal 2016: non si è dato molto seguito a questa richiesta. È apparsa beffarda perché lo sanno tutti che la porta europea s’è chiusa ad Ankara che non ha cercato di soddisfare i criteri d’accesso e che anzi è diventata più ostile a Bruxelles. Ma Erdogan punta soprattutto alla liberalizzazione dei visti e a una nuova unione doganale, le quali anche al sultano così anti-europeo sembrano alternative allettanti rispetto al suo stato attuale. Molti esperti parlano di «svolta occidentale» di Erdogan e forse l’enfasi è prematura, ma la Turchia non è mai stata tanto vicina alla NATO. A Putin questo non piace, come non gli piace che la Turchia possa essere un giorno dentro l’UE.

La NATO torna da Vilnius più forte perché ha adottato nuovi piani di difesa che permettono di agire in modo più rapido e immediato ad eventuali minacce soprattutto nei Paesi baltici contigui alla Russia. Si ripete spesso che l’Alleanza «difende ogni centimetro del suo territorio» ma le modalità di intervento erano molto diverse a seconda delle aree geografiche. Ora non più, ed è stata rafforzata la parte nord-est dell’Europa, perché la minaccia più urgente è Putin. Anche l’ingresso della Svezia è un rafforzamento soprattutto dal punto di vista della difesa marina: i sistemi militari sono già integrati e la flotta sottomarina svedese è la più sofisticata dell’Alleanza, in un mare, il Baltico, che è da sempre conteso tra Svezia e Russia. Già dal Settecento per i russi il Baltico era un mare militare, inaccessibile se non alle navi militari russe, oggi lo chiamano «il lago della NATO». All’Ucraina non è stata fornita una data per il suo ingresso nell’Alleanza, ma ora sa con certezza che il suo futuro è proprio lì e che l’Alleanza è determinata a difenderla fino alla vittoria. Il presidente Volodymyr Zelensky è arrivato a Vilnius accolto come una rockstar ma è stato deluso perché si aspettava l’impegno politico all’ingresso dell’Ucraina, proprio come è accaduto con l’ingresso nell’UE. Poi la delusione si è quietata, le rassicurazioni in termini di armi e addestramento sono state precise, l’unione di fatto è stata sancita. La NATO vuole dare all’Ucraina tutti gli strumenti per vincere e per evitare che in futuro i russi possano ridichiararle guerra. È la durata di questo sostegno ora il problema dell’Occidente, non tanto perché ci siano delle crepe nell’unità, quanto perché il Paese che contribuisce al 70% alle spese della NATO, senza il quale nulla di questa difesa sarebbe possibile, sta per entrare in una fase elettorale in cui il partito anti-ucraino crescerà e troverà più palchi su cui parlare: è l’America oggi guidata dal presidente filo-ucraino Joe Biden, e domani chissà da chi.