L’ormai soltanto virtuale foglio bianco sul quale scrivere un paio di righe, poco importa di cosa, sembra non poterne più, neppure lui, di accogliere – in particolare quando si affrontano temi di sport – sempre le stesse parole. Se ne rendono conto un po’ tutti, dai lettori più avveduti fino a quelli occasionali. Ma i primi ad avvertire la noia che suscitano tante ripetizioni sono gli autori stessi di questi pezzi. Ormai essi hanno capito di essere caduti nel tranello del parlottìo, del tanto per dire, dal quale sono in pochi a tentare di evadere in un modo o nell’altro.
Ciò succede soprattutto quando si vorrebbero analizzare certe situazioni che, a dire il vero, si ripetono pure sul campo, negli sport di squadra. Pare allora impossibile andare più in là anche in occasione di una rete, per quanto decisiva essa sia. «Non conta se ho segnato io – risponde l’autore del gol all’intervistatore, prima di affrettarsi a ripetere le stesse cose in varie lingue, se fosse il caso, a una sequela di cronisti – perché è la squadra che ha segnato!».
Sulla stessa linea rispondono i difensori, perché è chiaro che a difendere il risultato sarebbe stato impossibile senza l’impegno dell’intera formazione. Come dar torto a chi, generosamente, ripete queste logiche affermazioni? Alla fine ecco gli allenatori, dalle cui dichiarazioni in generale si avverte come la squadra abbia voluto ribadire lo spirito di gruppo, e solo quello, quando le cose vanno per il verso giusto.
L’altra settimana la Nazionale svizzera di calcio ha fatto un altro passo di avvicinamento alla qualificazione ai prossimi campionati del mondo in Russia (2018). Cinque vittorie in cinque partite: un colpaccio che forse non ha precedenti, crediamo, nella storia del nostro calcio.
Chi si era perso la diretta televisiva o radiofonica, di un confronto presentato come una semplice formalità contro la Lettonia, era naturalmente curioso di conoscere il nome dell’autore del gol della vittoria. Anche se questa è avvenuta con una certa fatica e con una sola rete di scarto realizzata quando si cominciava a temere che un pareggio avrebbe potuto interrompere una serie di risultati pieni, ma pure nel complesso un po’ troppo laboriosi.
Era stato forse Shaqiri? «Macché! – risponde l’amico informatore – ha segnato un altro, un bel gol di testa». E intanto cerca di ricordarne il nome, nemmeno 24 ore dopo la gara giocata a Ginevra. Seferovic? Mehmedi? «No, no», risponde l’amico al suo interlocutore e poi si scusa per aver scordato il suo nome. È stato Drmic l’eroe della serata e l’allenatore Petkovic, l’avveduto tecnico che lo ha mandato in campo al momento giusto.
Coi nomi a cui non si è abituati vien sempre da ricordare il caro Riva IV, il nostro Puci, che sull’aereo rispondeva al cronista Tiziano Colotti, spiegando una giocata in coppia, con il suo compagno, di cui non sapeva neppure lontanamente il nome tedesco, precisando che era «quel lì», indicando un biondino, seduto due fila davanti a loro.
Svizzera vittoriosa, dunque, e questo è l’essenziale. Alla fine del girone di qualificazione ci sarà pure sempre il Portogallo campione d’Europa da affrontare in casa sua, per cui rimane quindi ancora l’incertezza sulla classifica finale.
Chi ancora si danna nella ricerca di un’improbabile formula magica che sorprenda gli avversari e… i cronisti?
Intanto la prima nazionale a qualificarsi per la Russia è quella del Brasile che, in Sudamerica, ha fatto polpette degli avversari. Vedremo chi la seguirà.
Se i rossocrociati del pallone hanno offerto un po’ di soddisfazione ai loro sostenitori, ecco che per i tifosi dell’hockey in particolare, nello stesso momento, c’era l’apprensione per le loro squadre impegnate a battersi per un posto nella finale dei playoff da una parte e per affrontare le insidie delle partite contro la retrocessione dall’altra.
I nomi sono chiari: Lugano e Ambrì per quanto attiene ai sostenitori ticinesi. Nulla è facile quando si entra nella zona più calda del campionato. Lugano improvvisamente più forte rispetto al bislacco torneo di qualificazione e, oltretutto giustiziere di uno Zurigo che lo sovrastava sul piano spettacolare, quindi per bellezza ed efficacia nel gioco offensivo, ma ancora carente in certe situazioni come s’è visto contro il Berna, campione in carica e dominatore della stagione.
Quanto all’Ambrì, pur affrancato all’ultimo posto quasi dall’inizio del campionato, una volta ancora si è ritrovato rinforzato alle spalle da migliaia di fedelissimi sostenitori.
L’hockey ripropone così i suoi destini più noti e la febbre che da quasi sempre li accompagna mentre già sin d’ora (ci mancherebbe altro) si pensa al mercato, a chi dovrà (o potrà) ritoccare questa o quella formazione.