Alla prima prova di questo super anno elettorale in Germania, i cristianodemocratici hanno già dovuto imparare a leccarsi le ferite. In questi mesi, fino alle elezioni nazionali del 26 settembre, si inizia a scrivere la storia del post Merkel: la cancelliera tedesca, al potere dal 2005, non si ricandiderà, e il suo partito, la Cdu, ha già scelto il suo successore, Armin Laschet, governatore del Nord Reno-Vestfalia. Ma ci sono ancora molte incognite, in particolare una: non è detto che il leader della Cdu sia anche il candidato alla Cancelleria, perché la Cdu si presenta alle elezioni con l’Unione, l’alleanza tra i cristianodemocratici e i cristianosociali bavaresi (Csu), e quindi anche il leader bavarese Markus Söder ambisce alla candidatura. C’è però una grande differenza tra i due. Da qui a settembre ci saranno altre elezioni locali, ma non in Baviera, quindi l’unico a dover fare i conti con il post Merkel già nelle urne è proprio il suo erede designato, Armin Laschet.
Il primo appuntamento è stato abbastanza deludente, ma va detto che le aspettative non erano alte, anzi forse ci sarebbe da domandarsi perché, con quei sondaggi, non sia già stata messa in piedi da parte della Cdu una strategia di «contenimento danni». In Baden-Württemberg, la Cdu ha perso tre punti percentuali rispetto al 2016 (ma i seggi al Parlamento locale restano invariati) e la vittoria è andata, senza sorprese, a Winfried Kretschmann, già governatore di questo Land ed esponente dei Verdi. Proprio questa conferma sta facendo molto discutere sulla possibilità di una futura alleanza a livello nazionale tra Cdu e Verdi, come molti auspicano.
In realtà questa regione non è in questo senso molto rappresentativa. Kretschmann è un Verde atipico, anzi a volte alcuni si chiedono che cosa ci faccia un conservatore liberale come lui in un partito che ha solitamente connotazioni molto più progressiste: questo governatore molto popolare ha vinto non soltanto perché è un bravo amministratore, ma anche perché è un moderato molto attento ai compromessi, primo fra tutti quello tra una terra di produttori d’automobili com’è il Baden-Württemberg e le istanze ambientaliste. Se un messaggio arriva da queste elezioni, più che il crollo o l’ascesa di questo o quel partito, è quello di una domanda di pragmatismo e moderazione.
Lo stesso si può dire dell’altro appuntamento elettorale appena conclusosi nella Renania-Palatinato. Anche qui la Cdu è andata male e la sconfitta è più dolorosa perché i sondaggi sono stati a un certo punto della corsa quasi in pareggio: invece l’Spd della governatrice Malu Dreyer ha staccato di otto punti percentuali la Cdu (e in generale i socialdemocratici sono andati meno peggio del previsto). Dreyer è governatrice già da molti anni ed è anche lei una figura di compromesso, poca ideologia e molto buon senso. La sua vittoria ha portato un altro tema nel dibattito sempre a livello nazionale, cioè la cosiddetta coalizione semaforo (socialdemocratici, Verdi e liberali).
Se fosse questo il format che aspetta la Germania a settembre? Il timore tra i conservatori è molto alto, un po’ perché la pandemia ha sviluppato una maggiore richiesta da parte dei cittadini della presenza dello Stato (basti vedere nella liberale America quanto è imponente lo stimolo introdotto dal presidente Joe Biden), che è una cosa tipicamente di sinistra, e un po’ perché il post Merkel, sulla carta, è una restaurazione a destra, dopo le cosiddette sbandate centriste della cancelliera. Il rischio è che questa strategia diventi molto penalizzante per la Cdu, e gli altri partiti, a cominciare dai Verdi che hanno leader carismatici e uno dei temi più sensibili di questa epoca nel loro stesso nome, cercheranno di approfittarsene.
Poi certo, c’è il fattore Merkel. In questi mesi si scontreranno due teorie: quelli che pensano che la Cdu è in calo a causa della Merkel e quelli che pensano che la Cdu sia in calo nonostante la Merkel. A giudicare dalle rilevazioni, la seconda teoria è quella più realistica: sono più gli elettori che continuano a dire di aver dato il voto ai cristianodemocratici perché è il partito di Angela Merkel che quelli, delusi dalla cancelliera, che gliel’hanno negato. In mezzo c’è Armin Laschet, che è un buon amministratore locale in continuità con il merkelismo ma che dovrà trovare il modo sia di creare una sua candidatura autonoma, sia di tenere insieme le varie anime della Cdu. Per ora sembra impreparato su tutti e due i fronti, non tanto per mancanze sue, quanto per una questione quasi fisiologica. I calcoli e le previsioni mal si adattano al momento che sta vivendo la Germania: il cambio di leadership sarà epocale, la Cdu e tutto il Paese dovranno trovare un nuovo equilibrio senza l’elemento che più di tutti in questi anni (tanti anni) ha garantito equilibrio e stabilità, cioè la Merkel.
Alla ricerca dell’equilibrio senza Merkel
/ 22.03.2021
di Paola Peduzzi
di Paola Peduzzi