Alla ricerca degli addetti mancanti

/ 25.07.2022
di Angelo Rossi

Nelle settimane tra giugno e luglio, quando la sottoscrizione dei nuovi contratti di tirocinio comincia a intensificarsi, è sorta, a livello nazionale, condotta soprattutto dalle organizzazioni dei datori di lavoro, una intensa discussione sulla carenza di manodopera con qualifiche. È vero che, una volta letti tutti i contributi e tutte le prese di posizione, è difficile dire se la carenza in questione sia una caratteristica permanente che riguarda l’intero mercato del lavoro oppure se la stessa non interessi che alcuni rami del secondario e del terziario che sono stati particolarmente colpiti dalle misure di lockdown che le nostre autorità hanno dovuto prendere per arginare la diffusione del Coronavirus. Tuttavia, poiché il tema è di quelli che non possono essere trascurati da chi segue l’attualità economica del nostro Paese, vale la pena di dare un’occhiata a questa discussione.

Vediamo dapprima come argomenta chi pensa che si tratti di un fenomeno generale. In questo caso, la carenza di personale qualificato viene spiegata con l’invecchiamento della popolazione. Questo fenomeno che, in un primo tempo, aveva determinato un aumento della quota delle persone anziane a scapito di quelle con meno di 20 anni da qualche anno – in coincidenza con il pensionamento dei cosiddetti baby-boomers, ossia i nati nella prima metà degli anni Sessanta – ha cominciato a ripercuotersi negativamente anche sulla quota di persone in età lavorativa. Se, per fare un esempio, ci riferiamo al caso del Ticino notiamo che il numero degli inattivi ha conosciuto un’impennata tra il 2017 e il 2020 con un aumento di 9000 unità, ciò che corrisponde a un tasso di aumento annuale del 2,4%. L’invecchiamento fa dunque aumentare l’effettivo delle persone inattive e diminuire quello delle persone attive residenti, siano esse di nazionalità svizzera o straniera. Siccome nel contempo l’occupazione è leggermente aumentata, sul mercato del lavoro ticinese – come su quello nazionale – è venuto manifestandosi un eccesso di offerta di posti di lavoro.

Nel passato queste situazioni venivano corrette aprendo le porte all’immigrazione di manodopera dall’estero. Nel corso degli ultimi anni questo meccanismo non ha più funzionato. In effetti l’effettivo della manodopera straniera residente nel Cantone, è diminuito di qualche migliaia di unità. Il fenomeno è stato riscontrato anche in altri Cantoni e ha fatto sorgere addirittura una discussione in cui ci si è chiesti se il mercato del lavoro elvetico fosse diventato meno attrattivo per i lavoratori stranieri. La questione resta aperta. Quello che si può constatare, nel mercato del lavoro ticinese, è che oggi, in una situazione più o meno stabile quanto alla domanda di lavoratori, per effetto dell’erosione dell’offerta la domanda è in eccesso. Di conseguenza l’effettivo dei lavoratori frontalieri non cessa di aumentare. Nei Cantoni che non hanno accesso alla frontiera la possibilità di riequilibrare il mercato del lavoro coi frontalieri non esiste. In questi Cantoni è quindi molto probabile che il riequilibrio venga raggiunto con aumenti della produttività e dei salari.

Fin qui la spiegazione della carenza di lavoratori qualificati come fenomeno generale. L’altra interpretazione della tendenza in corso considera le difficoltà di reperimento di manodopera come un fenomeno settoriale o di ramo e le fa risalire agli effetti del lockdown, cioè della chiusura delle aziende, in seguito al diffondersi della pandemia di Coronavirus. I rami più colpiti dal fenomeno sono quelli del settore turistico: alberghi, ristoranti in primis, ma anche altre attività del settore. Si pensi, per fare un solo esempio a quello che sta succedendo questa estate negli aeroporti internazionali proprio a causa della mancanza di personale. Molti lavoratori e lavoratrici che avevano perso il posto di lavoro in seguito alle chiusure hanno trovato una nuova occupazione in altri rami, meno toccati dalle misure anti-pandemiche. Frequente è stato il passaggio dai rami del settore turistico a quelli dei settori sanitario e sociale. Si tratta in generale di un cambiamento di occupazione definitivo. Questi addetti e queste addette vengono ora a mancare alle aziende dei rami in cui erano impiegati prima della pandemia. Che cosa si può fare? Attualmente si discute di un possibile allargamento dell’immigrazione a Stati che non fanno parte dell’Unione Europea, dell’introduzione della tassazione individuale per ottenere un aumento del tasso di attività femminile, di un possibile aumento dell’età del pensionamento, o ancora di un possibile aumento del salario reale da ottenere, non da ultimo, attraverso una riduzione dell’orario di lavoro.